Recensione: Blaze Of Glory

Di Stefano Burini - 13 Dicembre 2012 - 0:00
Blaze Of Glory
Band: Jon Bon Jovi
Etichetta:
Genere:
Anno: 1990
Nazione:
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83

«Once Upon A Time In The West…»  

Così Sergio Leone decise di intitolare uno dei maggiori manifesti del cinema western di tutti i tempi e con la stessa tag-line potremmo introdurre la grande infatuazione che i Bon Jovi ebbero una ventina d’anni or sono per quell’immaginario, spesso rielaborato in chiave metaforica, fatto di cowboy, destrieri e grandi praterie, tipicamente definito “western”.  

Era il finire degli anni ’80 e, con il ritorno di fiamma dell’hard blues e delle ballate elettroacustiche, la strada era già stata spianata, sicché, dopo la doppietta che consacrò definitivamente la band madre, ci fu spazio per “Blaze Of Glory” e “Stranger In This Town”, i primi due lavori solisti delle sue superstar: Jon Bon Jovi e Richie Sambora. In entrambi i casi la proposta non si discostò troppo, in termini di sonorità, da ciò che ci avevano abituati a sentire fino ad allora e, pur nella riuscita personalizzazione e nell’elevata qualità di tutti e due  gli album, il trademark che caratterizzava i momenti più riusciti di “Slippery When Wet” e di “New Jersey” veniva per forza di cose a galla in più d’un occasione. Ad ogni modo, laddove la scelta di Sambora fu quella di addentrarsi, con insospettabile perizia, nei territori del blues e del roots rock, Jon pareva del tutto intenzionato a portare ulteriormente avanti quell’estetica fatta di modern day cowboys, stivaloni e cavalli d’acciaio.  

La leggenda narra che Emilio Estevez, attore famoso in quegli anni per la sua militanza nel cosiddetto “Brat Pack” e per film come “I Ragazzi della 56esima Strada”, “The Breakfast Club” e “St.Elmo’s Fire”, nonché amico di Jon Bon Jovi, gli avesse richiesto di poter utilizzare la celeberrima “Wanted Dead Or Alive” come parte della colonna sonora del film “Young Guns II”, sequel del più noto “Young Guns”, rilettura hollywoodiana tardo ottantiana delle vicende di Billy The Kid. Jon, in realtà, fece molto di più: in cinque minuti e scarabocchiando su un tovagliolo durante una pausa pranzo (divertente aneddoto raccontato da un altro membro del cast, Kiefer Sutherland), scrisse la famosissima “Blaze Of Glory” e dedicò al film il suo intero primo album da solista, il quale venne, infatti, pubblicato con una copertina che ritraeva i sei pistoleri protagonisti in posa e con il sottotitolo «Inspired by the movie Young Guns II».

Le canzoni proposte si mantenevano su un voltaggio leggermente più basso rispetto a quelle tipiche della band madre ma ammiccavanno, com’era prevedibile, alle stesse atmosfere da western postmoderno di allora e collezionavano, lungo tutta la durata dell’album, una pletora di ospiti di tutto rispetto, da Elton John a Jeff Beck, passando per Kenny Aronoff, Robbin Crosby, Alan Silvestri e addirittura Little Richard.  

“Billy Get Your Guns” era un hard ‘n’ roll melodico e allegro, scandito da un pianoforte variopinto e dalla voce di un Jon Bon Jovi in splendida forma. Un ottimo inizio che trovava piena conferma nella successiva “Miracle”, una  semi-ballata dai tratti più malinconici, tuttavia illuminata da una delle linee vocali più belle di tutto l’album e, perché no?, dell’intera carriera, solista e non, di questo grandissimo cantante italo-americano. La title track si configurava come una traccia gemella della leggendaria “Wanted Dead Or Alive”: elettroacustica e crepuscolare, forte di liriche da mandare a memoria e del favoloso guitar work di Jeff Beck, si trattava di un altro high light assoluto. “Blood Money” era invece interamente ‘unplugged’, un tripudio di armoniche, tamburelli e chitarre acustiche a fare da sfondo ad un altra prestazione vocale da incorniciare. La perfetta introduzione per l’ennesimo pezzo da novanta: la torrenziale “Santa Fe”, forse la più “cinematografica” di tutto l’album, con i tempestosi arrangiamenti d’archi a sottolineare in maniera efficace la drammaticità di un crescendo melodico ed emozionale lento ma inesorabile.  

Una lunga intro a base d’organo, voci e rumori di scena apre la via all’atipica “Justice In the Barrel”, brano che si allineava per stile, spirito e riuscita alla precedente “Miracle”, con il plus di uno spettacolare assolo di acustica (completato da un richiamo di elettrica). “Never Say Die” riportava l’album sui territori dell’hard rock più melodico ed ottantiano, con più d’un omaggio al grande idolo Bruce Springsteen, “You Really Got Me” era un rock ‘n’ roll da saloon intonato a due voci da Jon con Little Richard e “Bang A Drum” una ballata dai toni affini al gospel, di una semplicità e bellezza davvero stupefacenti, ma è un vero piacere, ancora oggi, notare che qualsiasi fosse il genere battuto la classe e l’ispirazione erano il vero leit motiv.

Il finale afffidato a “Dyin’ Ain’t Much Of A Livin’”, un lento drammatico e malinconico con impresso a fuoco il marchio di Elton John, e alla brevissima “Guano City”, scritta dal compositore Alan Silvestri (“Ritorno Al Futuro”, “Forrest Gump”), chiudeva in bellezza un album magari non conosciutissimo ma di grande valore che confermò, come se ce ne fosse bisogno, il grande talento di Jon Bon Jovi e che si delineò come il primo round della “battaglia in famiglia” alla quale l’illustre collega avrebbe risposto con grande vigore l’anno successivo.

Stefano Burini

 

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Tracklist

01. Billy Get Your Guns   04:49 

02. Miracle   05:09

03. Blaze of Glory   05:40

04. Blood Money   02:34

05. Santa Fe   5:41

06. Justice in the Barrel   6:49

07. Never Say Die 04:54

08. You Really Got Me Now   02:24

09. Bang a Drum   04:36

10. Dyin’ Ain’t Much of a Livin’   04:46

11. Guano City    01:00

 

Line Up

Kenny Aronoff – batteria, percussioni

Jeff Beck – chitarra solista

Jon Bon Jovi – voce, seconda voce, chitarra, tastiere, armonica, produttore

Robbin Crosby – chitarra

Bob Glaub – basso

Randy Jackson – basso

Elton John – pianoforte, seconda voce

Danny Kortchmar – chitarra, produttore

Myrna Matthews – seconda voce

Aldo Nova – chitarra, tastiere, tamburello

Lou Diamond Phillips – voce

Little Richard- pianoforte, voce

Alan Silvestri – arrangiatore

Benmont Tench – organo Hammond, pianoforte

Maxine Waters – seconda voce

Waddy Wachtel – chitarra

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