Recensione: Blazon Stone
In due anni dalla pubblicazione di Death Or Glory, uno dei masterpieces dei Running Wild nonché il disco che li aveva, per così dire, resi “famosi” a livello internazionale, il gruppo capitanato da “Rock ‘n’ Rolf” Kasparek aveva cambiato ancora una volta la propria formazione: Axel Morgan alla chitarra sostituì il veterano Majk Moti, mentre Ian Finlay lasciò il posto dietro le pelli a Rüdiger “AC” Dreffein. Con questa line up, la band amburghese saluta il nuovo decennio pubblicando un nuovo lavoro.
Blazon Stone conferma il processo che da dischi grezzi e classicamente speed-power (nell’accezione che questo termine aveva negli anni ’80) ha condotto il suono dei teutonici verso una maggiore eleganza e ricercatezza nel suono, che si svilupperà in pieno nei due dischi successivi, Pile Of Skulls e Black Hand Inn, pur senza tradire lo stile duro, aggressivo e sempre riconoscibilissimo che caratterizza la band tedesca. Forse per questi motivi il disco in questione, alle orecchie di chi scrive, suona un po’ acerbo, come fosse un disco “di passaggio”, sensazione che si ha soprattutto per le prime volte che lo si sente; tuttavia Blazon Stone si rivela essere un buon album con dei pezzi ottimi, anche se solo dopo alcuni ascolti attenti, segno che esso è forse il disco più complesso e meno immediato mai prodotto nel periodo classico del gruppo, pur non essendo certo cervellotico o “progressivo”.
Si comincia con la title track: una lunga introduzione di chitarre, prima lontane poi in primo piano, si evolve in un ottimo brano. Epica, potente e, in ogni particolare, al 100% Running Wild, dai riconoscibilissimi riff veloci al chorus trascinante, fino all’assolo di Rock ‘n’ Rolf, dallo stile perfettamente distinguibile anche da chi, come il sottoscritto non è propriamente un esperto di chitarrismo, Blazon Stone si rivela subito come un classico della band. Nel complesso il pezzo ricorda Riding The Storm del disco precedente; il deja-vu si fa ancora più intenso con la seconda traccia, Lonewolf, che con il suo riff classic metal potrebbe essere l’analogo di Renegade, anche se la canzone di Death Or Glory è decisamente migliore. Un coro cupo introduce Slavery, una song con un riff valido e un buon ritornello cadenzato, ma che tutto sommato risulta abbastanza anonima, non abbastanza convincente.
Si torna a fare headbanging con Fire & Ice, canzone possente con un refrain tra i più esaltanti ed epici del disco; bello anche l’assolo, anche se abbastanza corto. Brevissimo intro di batteria e poi si parte con Little Big Horn, dall’atmosfera quasi happy e dal sapore power, una canzone abbastanza inconsueta per la band. Tutto ciò però non intacca la sua bellezza, un’ottima composizione e un testo fascinoso, ispirato alla battaglia combattuta proprio a Little Big Horn, una delle poche vinte dagli indiani americani contro l’esercito statunitense. Dopo la breve e piacevole strumentale Over The Rainbow, nel quale il basso la fa da padrona, arriva forse il miglior brano del lotto. White Masque è la classica Running Wild song, trascinantissima e dotata di un chorus epico, e si rivela presto come una canzone memorabile, al livello delle migliori produzioni della band. Segue la quasi altrettanto notevole Rolling Wheels, con il suo eccellente riff che è tanto atipico per la band di Rolf quanto smaccatamente classic metal, e il tutto viene condito con un fantastico assolo. Il suo lato migliore però è sicuramente il bellissimo testo, che parla della vita on the road fino a culminare, nel ritornello, in un omaggio quasi commosso a tutti i fan della nostra musica preferita.
Una chitarra appena auscultabile sfocia presto una canzone in pieno stile “piratesco”, Bloody Red Rose, che con il suo incedere glorioso ci regala 5 minuti molto piacevoli, anche se forse le manca qualcosa per assurgere a killer track del disco. E’ poi il turno di Straight To Hell, un pezzo dal ritmo sostenuto, con un atmosfera oscura che ricorda da vicino dischi come Branded And Exiled, e nella quale affiorano addirittura con echi NWOBHM; molto gradevole nel complesso. Il finale è affidato a Head Or Tails, mid tempo con un flavour epico che si esplica soprattutto nel coro del refrain, e lo rende un inno paragonabile a Chains Of Leather, giusto per continuare il raffronto; sicuramente una degna conclusione per un album più che buono come questo. Nella versione in mio possesso sono presenti due bonus track, la prima, Billy The Kid, è un pezzo che non spicca particolarmente, piacevole ma nulla più; l’altra è l’ottima cover dei Thin Lizzy Genocide, resa davvero molto potente, senza per questo rovinare l’essenza e la bellezza del pezzo firmato Lynott.
Tirando le somme, il disco in questione è molto vario, almeno per gli standard della band, e forse questo è uno dei motivi per il quale sono ivi presenti alcune canzoni che pur essendo buone non arrivano al livello altissimo che i Pirati di Amburgo mantengono quasi costante in tutti i restanti album del periodo classico. Nonostante ciò, comunque, l’album in se è un ottimo prodotto, con un sound appropriato e un songwriting sicuramente all’altezza. Ne consiglierei l’acquisto sia ai fan di quel particolare sound a cui la band di Rock ‘n’ Rolf era dedita, sia per coloro che amano l’heavy metal classico, in particolare nella sua variante teutonica.
Mattia “Asperger” Loroni
Tracklist:
- Blazon Stone
- Lonewolf
- Slavery
- Fire & Ice
- Little Big Horn
- Over the Rainbow
- White Masque
- Rolling Wheels
- Bloody Red Rose
- Straight to Hell
- Heads or Tails
Bonus tracks della versione rimasterizzata:
- Billy The Kid
- Genocide
Line-Up:
- “Rock ‘n’ Rolf” Kasparek – voce e chitarra
- Axel “Morgan” Kohlmorgen – chitarra
- Jens Becker – basso
- Rüdiger “AC” Dreffein – batteria