Recensione: Bleed for the godz
Mamma mia che legnate!!!! E si, devo ammettere che mi sono sempre schierato contro i dischi tributo o gli album farciti di cover, ritenendoli speculativi ed inutili, perché diciamocelo pure, le versioni originali sono sempre migliori dei remakes, o no? Ma prima o poi capita a tutti nella vita di ricredersi, è l’incontro quasi fortuito con il nuovo album dei tedeschi Powergod mi ha indotto a ritornare sui miei passi.
Infatti mai e poi mai mi sarei aspettato che una band mediocre come i Powergod, sorta di super gruppo sotto al quale si celano personaggi di serie B della scena true metal teutonica, dassero alla luce un superbo disco come “Bleed for the godz” omaggiando i padrini alfieri del nostro amato genere musicale. Un platter questo, che rappresenta il perfetto vademecum per il metallaro della nuova generazione, ovvero il classico pischellino cresciuto con i Puffi e Cristina D’Avena, che qui troverà, ne sono più sicuro, pane per suoi denti.
Un revival sonoro che spazzia all’interno dei mai dimenticati eighties riportando alla luce vecchie glorie e cult band dimenticate in maniera forse troppo frettolosa. Ed è in quest’ottica che vanno viste le riproposizioni di magnifiche composizioni del calibro di “Lion’s Rora/bound to be free” degli americani Savage Grace, ottima band passata dalle luci della ribalta all’oblio dopo appena due all’album, o della splendida “Steel the light” dei Q5 del chitarrista Floyd Rose, si proprio l’inventore del ponte tremulo, o della trascinante “Ruler of the Wasteland” del guitar guru David T. Chastain, divenuto ultimamente un’ottimo talent scout nonché produttore di caratura internazionale. Da quello che si evince, la vera abilità dei Powergod è senz’altro quella di spazziare con disinvoltura fra differenti generi musicali, dalle sfuriate thrash di “XXX” dei Nasty Savage, al metal neoclassico di “I’m the vicking” del dio-chitarrista Malmsteen, all’epic/hard di “Tor with the hammer” degli Svedesi TNT. Ma l’apice qualitativo dell’intero lavoro risulta essere senz’ombra di dubbio la song “Stars” degli Hear’n’haid progetto che fù portato avanti da alcuni membri della band di Ronnie James Dio, con la collaborazione di artisti provenienti dai Judas Priest, Mothored, Kiss, Maiden e tanti altri, con il preciso scopo che anche gli artisti della scena hard rock avrebbero dovuto in qualche modo contribuire alla lotta contro la fame. E così anche come in quel progetto, i Powergod si circondano con uno stretto manipolo di amici (At Vance, Tankard, Backslash, Steel Prophet) dando vita ad un’emozionante track che non risente per niente del passare degli anni, regalandoci le stesse emozioni di allora.
Ma non sono tutte rose e fiori, e se la maggior parte dei brani risulta davvero avvincente, a mio vedere gli unici nei dell’intero album, che ricordiamolo consta di ben 16 tracce, sono rappresentati da “Metal Church” dell’omonima band di Seattle e da “Red rum” degli stravaganti Lizzy Borden, per il resto un disco da fare vostro ad ogni costo.