Recensione: Bleeding the Stars
Devi avere il caos dentro di te, per dare alla luce una stella danzante.
[Friedrich Nietzsche]
Carriera lunghissima, quella dei tedeschi Lacrimas Profundere. Cominciata nel 1993 praticando un stile che, perlomeno dalla bibliografia ufficiale, è stato definito come melodic doom/death metal; sino ad arrivare ai giorni nostri, stavolta illustrati con un improbabile gothic metal/rock.
Uno stravolgimento solo apparente poiché, via via che sono passati gli album – dodici, con il presente “Bleeding the Stars” – la loro sequenza temporale non ha intaccato il vero spirito della band. Spirito rinvenibile nella forma più pura del gothic, questo sì, mutato a mano a mano che sono transitati i lustri nelle spire del tempo. A cambiare, allora, a seconda di chi scrive, non è stato il loro stile bensì il genere. Via via alleggeritosi dalle forme più dure e aggressive quando, cioè, gli elementi del doom ma soprattutto del death erano presenti in forma massiccia nella struttura degli act che praticavano il genere stesso come, per esempio, Paradise Lost (“Icon”, 1993) e Orphanage (“By Time Alone”, 1996).
Lo sconvolgimento vero, tuttavia, sì è avuto recentemente, e specificamente nella line-up. Di quella dell’ultimo disco, “Hope Is Here” è rimasto, infatti, il solo chitarrista Oliver Nikolas Schmid, peraltro unico superstite della formazione iniziale. Il mastermind.
Tornando a “Bleeding the Stars”, si osserva anzitutto che trattasi di un lavoro avente uno scopo bene preciso. Non si tratta di un concept, quanto di un invito a lasciarsi andare, poiché tutto finisce e niente così importante come sembra. In sostanza, un’esortazione a vivere più a contatto della Natura, del Cosmo, delle Stelle che, amareggiate per le sofferenze umane, piangono sangue.
Per far ciò, i Lacrimas Profundere estrinsecano il loro animo tormentato, e ciò grazie, soprattutto, alla sentita interpretazione delle linee vocali da parte del nuovo cantante, Julian Larre, in grado di abbracciare più fogge vocali: clean, harsh e growling (‘The Kingdom Solicitude’). Utilizzandole per sostenere l’emozione che si vuole trasmettere. Tristezza, rabbia, disperazione. Sono tre, fra le tante. Del resto il caleidoscopio degli stati d’animo è una prerogativa del Romanticismo, movimento artistico, musicale, culturale e letterario sviluppatosi al termine del XVIII secolo in Germania. Non a caso. E difatti, tenendo fede al DNA dei precursori, il trio bavarese riesce con naturalezza a esplorare, scavare e quindi mettere a nudo i moti vorticosi che tormentano l’anima.
E lo fa, al contrario di tanti emuli di secondo piano, con una sequenza stupenda di canzoni dal gran livello compositivo. Sulla tecnica, ovviamente, nulla si più dire, poiché i Nostri sono dei musicisti con i fiocchi. Che, però, utilizzano, è il caso di dirlo, finalmente, la loro abilità strumentistica per servire l’arte al 100%. Così, dal cilindro escono fuori dieci song una più bella dell’altra, tutte pregne di quel mood malinconico che personifica la natura dei Lacrimas Profundere. Nessuna stucchevolezza, nessuna voglia di acchiappare l’audience più facile. Solo tracce composte ed eseguite per dire qualcosa, per trasmette invisibili palpitazioni di un cuore ferito. Ecco, allora, che emergono dalle nebbie di una mesta rassegnazione vette che si chiamano ‘Mother of Doom’, ‘Father of Fate’ e altre ancora, il cui mero elenco non renderebbe merito al loro valore.
I Lacrimas Profundere, quasi una rarità, al mondo d’oggi, sanno scrivere brani in cui emerge con prepotenza un songwriting davvero fuori dalla norma. Brani che posseggono, oltre al cuore, un’anima e una mente e che, messi assieme definiscono, come poche volte accade, quello che deve essere un disco di gothic metal.
Daniele “dani66” D’Adamo