Recensione: Blind Gods And Revolutions

Blind Gods And Revolutions
Band: Essenza
Etichetta:
Genere:
Anno: 2014
Nazione:
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60

Nati nel 1993 per idea dei due fratelli Carlo e Alessandro Rizzello, rispettivamente voce/chitarra e basso, i pugliesi Essenza hanno finora prodotto quattro album, l’ultimo dei quali si allontana completamente dal classico stile della loro precedente line-up a sei. Inoltre, altra importante sterzata che conferma tale cambiamento di formazione è l’impiego della lingua non più italiana, bensì inglese.

“Blind Gods and Revolutions”, il loro ultimo disco, contenente dieci brani della durata complessiva di circa trenta minuti, rivela ancora una volta la straordinaria capacità della band di sorprendere continuamente i fan talvolta discostandosi completamente dalle sonorità blues proprie dei precedenti lavori.

Innanzitutto, palese è l’influenza dell’Hard Rock ’70 -’80 (Deep Purple, Whitesnake) che ben si intreccia al metal più classico (Black Sabbath, Iron Maiden), fino ad arrivare a sonorità più thrash che ricordano quelle dei Megadeth. In secondo luogo, riscontrabile è la grande varietà con cui i leccesi Essenza alternano i generi, le trame complicate ed avvincenti, nonché le molteplici sfumature , dall’Heavy al Prog fino addirittura al Folk, quest’ultimo evidente nella meravigliosa “Seagulls In The Night”.

Non meno rilevante è inoltre la capacità di attirare l’attenzione visiva dell’ascoltatore sull’artwork. Quest’ultimo, infatti, raffigura al centro dell’immagine una figura femminile, che in primo piano sembra danzare soavemente, lasciandosi travolgere completamente da un magico e suggestivo panorama di macabre ed oscure ambientazioni, a cui fanno da sfondo la splendida luna piena e le calme e rilassanti acque marine.

Già da una primo assaggio, infatti, si ha come l’impressione di essere completamente immersi in una moltitudine di atmosfere, tra le quali primeggiano quelle cupe e cadenzate. “Bloody Spring”, in particolare, è caratterizzata da un rock tosto e da classiche sferzate chitarristiche potentemente distorte.

In “Plastic Good” sono, invece, riscontrabili assoli immediati che già ad un primo ed accurato ascolto, rivelano timide e leggere sfumature Progressive. Del tutto peculiare è “The Fure of the Ancient Witch” per la presenza di martellanti e furiosi riff non troppo lunghi né invasivi che offrono un sound continuamente incalzante e sfrenato, senza mai annoiare l’ascoltatore.

Diversa è “Lost and Blind” che rievoca i primi Judas Priest non tanto nelle tonalità, meno acute e vicine al Power, quanto nei precisi pattern di batteria. Inoltre, è proprio la brevità della melodia e dei cambi di tempo a trasmettere coinvolgenti e vorticose sensazioni, strettamente stimolanti.

A seguire “Seagulls in the Night”, brano particolarmente ispirato che trasporta unicamente chiunque l’ascolti in un’atmosfera medievaleggiante. A concludere l’intera tracklist è “Time”, la cui sezione ritmica è talmente impressionante, da sconcertare totalmente. 

Nel complesso, “Blind Gods And Revolutions”, si presenta come un album sufficientemente caratterizzato, grazie al sound molto crudo e, al contempo, da un riffing coinvolgente, anche se a tratti poco avvincente. Non mancano inoltre potenti sezioni ritmiche e quello spiccato groove capace di sferrare un Heavy che sembra flirtare col Thrash; nonostante la presenza di tali elementi, nonché l’ambizione e l’impegno costante dei tre musicisti, l’unica pecca della produzione dell’intero disco sembra essere il mancato raggiungimento di determinati standard attuali. Pertanto ai fan non resta che confidare in un futuro salto di qualità, possibile soltanto con un rafforzamento dei falsetti ed una maggiore omogeneità tra gli strumenti e le linee vocali.

L’interpretazione del singer, nonostante la presenza di coinvolgenti ritmi e buoni riff, tende spesso a sminuire la portata delle singole tracce. Alcune composizioni,  infatti, alla lunga tendono ad apparire pesanti e poco scorrevoli, soprattutto sul piano vocale.

In conclusione,“Blind Gods and Revolutions” si rivela nient’altro che un piacevole ”surplus” di oscillanti emozioni, senza però offrire mai un sound innovativo. E’  consigliabile ad un pubblico di soli appassionati del rock settantiano che difficilmente riescono ad aprirsi verso nuove sonorità e a soluzioni sperimentali.

 

Francesca Cicoria

 

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