Recensione: Blood And Angels’ Tears
Nono studio album dei Vision Divine, creatura che Olaf Thorsen, dopo più di 25 anni dalla fondazione, continua a tenere in vita insieme ai Labyrinth, consolidando una tradizione che lo vede attivo in entrambe le band. Sul fronte della line-up troviamo Matt Peruzzi alla batteria, in seugito all’uscita di Mike Terrana, e al microfono confermato Ivan Giannini dopo la buona prova in When All the Heroes are Dead.
Questa volta – lo diciamo subito – la band toscana regala un signor disco, un concept epico che merita l’artwork “angelico” di Augusto Silva. Testi e musica ruotano attorno al destino di alcuni angeli ribelli che si ritrovano a vagare sulla Terra. All’interno di questa cornice miltoniana (ma viene in mente anche La città di vita di Matteo Palmieri), il combo italiano riesce a esprimere al meglio il proprio sound potente, un power/heavy metal arricchito da sfumature progressive (complici le tastiere di Alessio Lucatti) e impreziosito dallo spessore alle lyrics con citazioni che vanno dalla mitologia ovidiana alla Commedia dantesca. Come non bastasse troviamo alcuni cantanti ospiti di tutto rispetto, due nel medesimo brano, “The broken past”, cosa chiedere di meglio?
Ma procediamo con ordine, ossia dall’intro recitato, il primo degli undici capitoli di qui si compone Blood And Angels’ Tears. Bastano poche frasi a farci calare nella dimensione mistica del duello tra bene e male. La tematica angelica non è infrequente in ambito metal: impossibile, dunque, non fare un confronto, mutatis mutandis, con l’avvio della suite di Luca Turilli “Of Michael the Archangel and Lucifer’s Fall”.
“The Ballet of Blood And Angels’ Tears” è una title-track potente e programmatica. I Vision Divine sfoderano le loro armi migliori e mettono in campo tutta la velocità e la melodia che riescono magnificamente a proporre. La doppia cassa detta un ritmo implacabile, le chitarre ritmiche sono abrasive al punto giusto, le tastiere arricchiscono il tutto (specie nel finale). Come avvio davvero niente male. Continuiamo a seguire gli angeli caduti Asar, Kah-Kl-Han e Ahreman nel loro esilio terreno…
“Once Invincible” ha un attacco da manuale, old school e gustoso, non a caso le note acustiche ricordano i Gamma Ray di “Rebellion in dreamland”. Il pezzo prosegue con un ottimo piglio, Giannini non sfigura nelle note alte ed è perfettamente calato nel ruolo.
Una svolta inaspettata del concept avviene nella seguente “Drink our blood”. Il tempo passa, i secoli trascorrono, e gli angeli caduti per cercare conforto dalla solitudine tentano di donare il proprio sangue ai mortali nel tentativo di divinizzarli. Quello che ottengono, tuttavia, è la nascita di creature dell’oscurità, vampiri a tutti gli effetti. Per valorizzare questo brano e il suo potenziale troviamo al microfono in veste di ospite niente meno che AC Wild, frontman degli storici Bulldozer, tributo dovuto a una delle nostre metal band seminali.
I ritmi si calmano in parte con “When Darkness Comes”, il quinto capitolo dell’album che include una citazione classica sulla figura di Atteone (cacciatore che, ironia del destino, diventa a sua volta preda a causa della bellezza di Diana). I Symphony X avevano parlato di Orione in Twilight of Olympus, i Vision Divine invece regalano una discreta ballad… A detta di Thorsen questo brano, inoltre, è una sorta di spoiler che anticipa il secondo capitolo del concept.
“Preys” racconta del tentativo di ricongiungimento dei tre angeli, cui è vietato riunirsi dopo la caduta dal cielo. Non mancano alcuni momenti teatrali (in stile Therion), una frase in italiano (traduzione di un passo dell’Amleto shakespeariano) e il dialogo di assoli tra lo statuario Thorsen e l’ottimo Lucatti, in grande spolvero.
La breve “A Man on a Mission” e “Go East” compongono uno dei momenti più suggestivi del concept. Ci sono momenti toccanti ma anche l’oscurità portata dal nemico Baal. La tracklist è quasi al suo epilogo, mancano tre brani, ma non cala la qualità dell’album. Basta ascoltare i primi secondi della già citata “The broken Past” per rendersene conto. Sembra di ascoltare i primi Sonata Arctica e gli Angra di Edu Falaschi, ottimo power metal. Le linee vocali di Ray Alder (Fates Warning, ex-Redemption) e Alessandro Conti (Trick or treat, Twilight Force) sono un’accoppiata micidiale.
Benfatta e incisiva anche “Dice and dancers”, pezzo con al centro il tema del libero arbitrio e che avrà anche una versione ad hoc per il mercato asiatico. Siamo su lidi power-prog. e il ritornello è decisamente azzeccato. Fa piacere sentire la band così in forma e forte di un entusiasmo contagioso.
L’ultima traccia di Blood And Angels’ Tears è “Lost”, un finale con un refrain con un che di epico e lunga citazione del canto III dell’inferno dantesco, quello che contiene un ritratto degli ignavi mai tanto attuale quanto in questi nostri tristi tempi.
Finita la disamina dei brani, il giudizio complessivo non è difficile da sintetizzare. Siamo di fronte a uno dei migliori album dei Vision Divine, superiore al precedente When All the Heroes are Dead e vicino alla qualità della “trilogia” con Michele Luppi.
La vicenda narrata nel concept è di sicuro fascino, inoltre, per stessa ammissione dei creatori, ha un secondo livello di lettura, quasi allegorico, che lo avvicina a quello di Stream of consciousness.
Blood and Angels’ Tears nasce come disco maturo e ambizioso e rilancia il sound targato Vision Divine puntando su potenza e affiatamento della line up. Il combo italiano con questa prova di forza riesce a superare lo stereotipo del calo qualitativo legato al passare del tempo. Ora aspettiamo il sequel, magari con altri ospiti illustri chiamati in causa e altre sorprese e chicche.