Recensione: Blood for Blood
Quarto full-length della carriera per i texani Hellyeah, band alle cui pelli siede l’ex batterista e fondatore dei compianti Pantera prima, Damageplan poi, Vinnie Paul. E tanto per restare in tema di formazione, “Blood for Blood”, questo il titolo del disco che stiamo trattando, vede una nuova entrata al basso. Si tratta di Kyle Sanders, fratello del cantante (e bassista pure lui) dei Mastodon, Troy Sanders. Per il resto nulla di invariato. Si tratta delle stesse persone che nel 2006 diedero alla luce l’omonimo debbuto della band “Hellyeah”. Affermazione che ci porta subito a dire che ben poco è cambiato in tutto questo tempo.
“Blood for Blood” è il solito concentrato di metal ‘groovoso’ che da quasi un decennio caratterizza il sound della band. E questo groove è anche il loro punto di forza, in quanto non facilmente ricalcabile da altri nella scena, ma che alla lunga porta ad una certa staticità. Ascoltare i dischi degli Hellyeah significa infatti ascoltare dischi ‘di mestiere’. Ben suonati, straordinariamente prodotti (alla consolle ha operato Kevin Churko, già al lavoro con Ozzy Osbourne e Five Finger Death Punch), i quattro dischi della loro discografia non hanno mai nulla da proporre se non qualche cambiamento di rotta quasi impercettibile. Se nel passato i Nostri si portavano dietro un po’ d’eredità stile Pantera, ora l’ago sembra puntare verso l’heavy-thrash commerciale di metà anni novanta. In particolare in molti frangenti, contornati dal solito roboante groove ritmico, troviamo influenze stile Bay Area, filo-Testament di metà carriera, tanto per intenderci. Se preferite, una sorta di heavy metal più ‘cattivo’ dell’ordinario, con maggior impatto. Non manca quindi nemmeno la melodia, cardine che rende comunque equilibrato l’intero lotto dei brani, ma che nel contempo li rende un tantitno ‘frikkettoni’. Considerato che questi musicisti hanno, da sempre, vissuto on-the-road il rock tra alcol, donne e locali semidistrutti, la cosa non suona più tanto familiare. Un’attitudine che sa di ‘forzato’ quindi. Forse un po’ di cambiamento verso il caro vecchio stile polverono ‘metal texano’, a questo punto della carriera arrivati, sarebbe stato consono (e pure dovuto!).
La scaletta parte alla grande con la title-track per poi scemare in termini di ispirazione e ricchezza di contenuti. I quarantacinque minuti diventano assai ripetitivi, sulla falsa riga di quanto ascoltato ad inizio album. A chi piace vederla come coerenza, ben venga. Noi la vediamo come ripetitività…
Vien da pensare che la band produca con lo scopo unico di ‘produrre qualcosa’. Già con il precedente del 2012, “Band of Brothers”, il quartetto non s’era discostato dalle sue orgini. Il disco che, a differenza di questo, consegnava all’ascoltatore un ‘mood’ assai più rock, era la quasi fotocopia dei due precedenti. Nulla di male si intende, ma nulla di straordinario neppure.
“Blood for Blood” sarà sicuramente amato dai fan della band e nella stessa misura dei precedenti. Una band che continua il suo percorso coerente e produce dischi secondo la formula scoperta otto anni fa: groove, rock o metal e tanta, tanta, tanta esperienza.
Nicola Furlan
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