Recensione: Blood For The Master
Impossibile eliminarli!
Dopo un’incredibile serie d’incidenti, guai di salute, cambi di formazione, guasti e disastri vari, giungono inossidabili al quinto full-length di una carriera iniziata nell’ormai lontano 1997. Si tratta degli statunitensi Goatwhore che, con il neonato “Blood For The Master”, dimostrano inequivocabilmente di essere una delle band più feroci della Terra. Merito non tanto di un’ostentata quanto, tutto sommato, ordinaria simpatia per il Diavolo ma di una straordinaria e incrollabile attitudine per le manifestazioni estreme e primordiali del metal; propensione che s’intana senza indecisione negli orridi antri in cui giacciono gli archetipi del black, thrash e del death. Con l’aiuto dell’amico di sempre Erik Rutan (ex Alas, ex Morbid Angel, ex Ripping Corpse, Hate Eternal) in veste di produttore, “Blood For The Master”, a distanza di tre anni dal riuscito predecessore “Carving Out The Eyes Of God”, vede quindi i natali (registrazione e masterizzazione) presso i Mana Recording Studios di St. Petersburg, in Florida.
Incuranti delle mode che orbitano attorno al variegato mondo del metal oltranzista, L. Ben Falgoust II e compagni non modificano nemmeno di un millimetro il loro consolidato modo di affrontare la questione, abbarbicandosi attorno alla rocca dell’old school death metal; rocca cristallizzatasi nel tempo attorno ai quei nuclei di condensazione che rispondono al nome di Possessed e Morbid Angel. In analogia con la filosofia che ha retto la base della carriera di questi leggendari act soprattutto negli anni ottanta, i Goatwhore rifuggono da sempre qualsiasi esercizio di tecnica per concentrarsi al 100% sul feeling con i propri strumenti, sul sentimento della propria musica. “Blood For The Master” segue pedissequamente quest’approccio mentale, bombardando l’incauto ascoltatore con una gragnola di song dai titoli tanto roboanti quanto dai contenuti malati e decadenti. Il death vecchia scuola dei Nostri è fittamente intersecato da rasoiate di puro black/thrash metal à la Slayer di “Show No Mercy” ma non poteva essere altrimenti, giacché quest’album, nel 1983, era ancora immerso nel brodo protostorico di heavy metal da cui sarebbero da lì a poco emersi i generi anzidetti e, quindi, proprio il death. I quattro di New Orleans, però, non sono così ciechi da non guardarsi attorno. Accanto alle classiche partiture della chitarra di Sammy Pierre Duet e del basso di James Harvey, trovano sfogo, spesso e volentieri, i devastanti blast beats di Zack Simmons; capace di allineare con abilità un corposo groove retrò a dei pattern perfettamente in linea con quanto proposto oggi dai migliori batteristi che praticano la stessa disciplina. La voce di Falgoust II fa un po’ da ponte fra passato e presente, incollando il sound dei suoi compagni con ruvida rabbia, misurata aggressività e feroce mestiere.
Avendo fissato da tempo il loro sound con precisione, al quartetto della Louisiana non è rimasto che concentrarsi sulla stesura delle canzoni. Canzoni ben riuscite, varie, tutte impregnate sino al midollo dal quel sentore di marcio che solo pochi ensemble, oggi, riescono a secernere. Nemmeno il tempo d’iniziare che “Collapse In Eternal Worth” squarcia l’etere con la sua forza morbosa, miscelando un tono gustosamente maligno alla furia degli elementi. “When Steel And Bone Meet”, dal vivace tocco heavy, mostra addirittura un embrione melodico. Un riff portante che richiama l’oscuro dinamismo dei Mercyful Fate contraddistingue “Parasitic Scriptures Of The Sacred Word”, preludio al rallentamento ritmico di “In Deathless Tradition”, invero pesante come un macigno. “Judgement Of The Bleeding Crown”, ed è sfascio totale. L’incipit ossianico di “Embodiment Of This Bitter Chaos” inserisce correttamente l’umore nel miglior episodio del lotto, profondo e articolato. Il mood drammatico della terremotante “Beyond The Spell Of Discontent” e il tornado “Death To The Architects Of Heaven”, guarnito da qualche dissonanza e da un incedere a tratti meccanico (sic!), preparano al thrash’n’roll slayeriano di “An End To Nothing”. Chiude le danze, si fa per dire, l’allucinazione da iper-velocità di “My Name Is Frightful Among The Believers”.
Se l’originalità non è il punto di forza dei Goatwhore, ci pensano attitudine e songwriting a fare la differenza. “Blood For The Master” è un ottimo lavoro di old school death metal. Nulla di più, nulla di meno. Il che, in estrema sintesi, è tutto dire!
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Collapse In Eternal Worth 3:40
2. When Steel And Bone Meet 3:12
3. Parasitic Scriptures Of The Sacred Word 3:28
4. In Deathless Tradition 4:26
5. Judgement Of The Bleeding Crown 3:58
6. Embodiment Of This Bitter Chaos 4:44
7. Beyond The Spell Of Discontent 4:02
8. Death To The Architects Of Heaven 3:41
9. An End To Nothing 2:49
10. My Name Is Frightful Among The Believers 4:11
Durata 38 min.
Formazione:
L. Ben Falgoust II – Voce
Sammy Pierre Duet – Chitarra e voce
James Harvey – Basso
Zack Simmons – Batteria