Recensione: Blood – Fury – Domination
Gli Arthemis di Verona sono oramai una realtà ampiamente consolidata nel panorama heavy tricolore. Pubblicano album a partire dallo scorso millennio (il debut “Church Of The Holy Ghost” data 1999). Inizialmente afferenti al filone del metal classico post helloweeniano che a cavallo tra anni ’90 e primi 2000 ha riscosso molti affiliati e un certo consenso segnatamente in Italia, gli Arthemis hanno progressivamente modellato il proprio sound, album dopo album, dimostrando un interesse sempre crescente verso sonorità il più possibile attuali, al passo con i tempi. Le reminiscenze helloweeniane e smaccatamente melodiche sono state relegate sempre più in background, in favore di un taglio decisamente più “ora e adesso”. Sul finire del primo decennio dei 2000 la svolta si fa maggiormente evidente. “Heroes” in particolare (2010) segna uno spartiacque nella carriera della band, non fosse altro perché il solo Andrea Martongelli (membro fondatore del gruppo) rimane insediato al comando, con i sodali Garavello, Galbier e Perazzani che diventano ex.
Martongelli costituisce un combo nuovo di zecca attorno a sé e va in stampa con “Heroes“. Gli Arthemis si affrancano definitivamente dalla “tradizione” (qualsiasi cosa ciò voglia dire) per proiettarsi nel futuro. Dal post helloweenismo si passa al post power metal di stampo “classico”. Segue nel 2012 “We Fight” ed oggi “Blood – Fury – Domination“, ennesimo assalto all’insegna di un sound più moderno, oscuro, sudato e realista, per coloro i quali non hanno intenzione di rimpiangere nostalgicamente il passato o le gesta auree delle band ottantiane. Le frecce a favore dell’arco degli Arthemis sono diverse, una produzione eccellente, un guitar playing di Martongelli di estrema qualità, che lo assegna di diritto tra i guitar heroes italiani; i suoi solos in particolare, gli interventi di abbellimento e cesello dei pezzi, sono sempre un bel sentire, maestria tecnica e gusto esecutivo mischiati a dovere. I suoi comprimari sono una legione di spartani che gli marcia accanto con estrema convinzione e determinazione. In definitiva, “Blood – Fury – Domination” mantiene le promesse di un titolo così altamente evocativo, i ragazzi rilasciano elettricità da ogni poro e intendono proprio conquistarli quel regno e quel trono fatti di borchie e amplificatori.
Poi subentrano i gusti personali e per onestà intellettuale devo dire che il sound degli Arthemis più recenti non mi entusiasma granché. Non ci sono critiche formali da poter muovere alle loro composizioni, se non che il nuovo album non si discosta magari troppo da quanto già sentito nei due capitoli precedenti. La formula matematica dei veronesi viene rafforzata e limata all’ennesima potenza ma non sembra esserci un’evoluzione marchiana. Così come – sempre di gusti personali stiamo parlando – la timbrica di Fabio Dessi non mi fa impazzire. Tuttavia, nel songwriting c’è tanta potenza, alternanza di melodia e vigore testosteronico, accenti chitarristici, velocità e chi più ne ha più ne metta. E’ proprio che l’attuale heavy metal degli Arthemis, per quanto meritevole, maschio e belluino, non mi fa scattare la molla dentro. Gli riconosco la patente di band di qualità e sostanza, ma ai gusti non si comanda e una lucida analisi razionale nulla può contro le farfalle nello stomaco, che arrivano quando arrivano, indipendentemente che dietro gli strumenti ci sia la sublime tecnica sopraffina di uno Steve Vai o l’ingenuo e rozzo zoppicare sbilenco degli Helvetets Port, per dire. Il target degli Arthemis adesso è specifico, affinato, individuato in una fetta di ascoltatori precisa; non ci sono ambiguità, la cesura col passato è netta ed inevitabilmente porterà (anzi, probabilmente ha già portato) a perdere consensi in favore di nuovi guadagnati, secondo un avvicendamento fisiologico che rispetta i cambiamenti avvenuti anche in seno alla line-up. Massimo rispetto, in bocca al lupo per il futuro ragazzi, state lavorando sodo; che il vostro lavoro possa essere ripagato come merita e apprezzato da chi è in sintonia con i vostri rituali di metallica contemporaneità.
Marco Tripodi