Recensione: Blood in our Wells

Di Giorgio Vicentini - 14 Giugno 2006 - 0:00
Blood in our Wells
Band: Drudkh
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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85

Album come Forgotten Legends, Autumn Aurora ed il più recente Lebedynyy Shlyakh (The Swan Road), dovrebbero essere prove sufficienti a dimostrare la caratura di una band. Se così non fosse, se qualcuno si fosse perso qualcosa degli ucraini Drudkh, eccovi Blood in our Wells.

Vi è mai capitato di voler aspettare soltanto il momento giusto per ascoltare un disco? Di avere l’impressione che sprecare un ascolto “sbagliandolo” nel tempismo sarebbe un delitto? Questo è un lavoro che non va sciupato, la sua grandezza viene anche dalle piccole grandi cose come l’accorgersi, dopo i primi approcci, che si ha tra le mani qualcosa di importante.

La magia dei Drudkh è nelle loro atmosfere ricche di tradizione, decadenza, ma anche di grandiosità e vigore espressivo. Ascoltarli è viaggiare riuscendo ad annusare l’odore di terre lontane, sentendo sul viso il vento o il calore del sole, odorando profumi, fissando idealmente il cielo sereno o uggioso man mano che le tracce scorrono e le sensazioni cambiano. Oggi più che mai, ogni brano ha un paesaggio da descrivere, una storia da narrare spesso sofferente, raccontata con fierezza palpabile in un costante senso di vicinanza alla terra, alla natura. 

Blood in our Wells fa un passo indietro ideale rispetto a Lebedynyy Shlyakh, tornando ad uno stile più simile ad Autumn Aurora, quindi meno spinto, ma pieno di forza in grado di catturare manciate d’essenza per riversarla in musica tra rabbia, dignità, tristezza. Una mescolanza di elementi immersi nel solito, entusiasmante black metal guidato dalla componente folk/tradizionale musicata da un sound inconfondibile, sempre più caratteristico.
Forse, parole inadatte rischierebbero soltanto di svilire la meraviglia ed il trasporto di quei lungi tratti strumentali interrotti dallo scream in lingua, scivolando nel descrivere grossolanamente un finale imperdibile come quello di “When the Flame Turns to Ashes“. Più di mille raffigurazioni verbali vale la copertina, evocativa al pari della musica e che io lego a “Solitude” per l’intensità drammatica dell’immagine, quel faticoso e rassegnato dolore che entrambe sembrano saper restituire, contrapposto al tema quasi solare della seguente “Eternity“.

Quale sarà il segreto dei Drudkh? Forse è meglio non saperlo e stupirsi della loro musica, rendendosi conto della palese differenza tra il metal sentito e quello da supermarket, dal quale mi auguro gli ucraini restino sempre distanti e, se necessario, protetti.

Tracklist:
01. Nav’
02. Furrows of Gods
03. When the Flame Turns to Ashes
04. Solitude
05. Eternity
06. Ukrainian Insurgent Army

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