Recensione: Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith

Di Gianluca Fontanesi - 12 Settembre 2016 - 0:01
Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith
Band: Inquisition
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Settimo album per I colombiani Inquisition e settimo tassello inserito in una discografia che non sembra sfoggiare il minimo sentore di cedimenti. I colombiani sono un act sempre più amato, rispettato ed ascoltato nell’ambiente e dagli addetti ai lavori, forti sì di una bislacca formazione di soli due elementi, un sound che risulta ormai ben definito e inconfondibile ed una solidissima integrità musicale che non ha mai tradito le sempre più alte aspettative. Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith offre una manciata di brani dai titoli in grado di far impallidire la più elaborata delle supercazzole dei Nile; inevitabile, leggendoli, il pensare ai tempi in cui si duplicavano le cassette e al come avremmo fatto a scrivere queste corpose tracklist in quegli irrisori cartoncini..

Detto questo, l’album ha una durata di ben sessanta minuti ed è incentrato su un concept cosmico che non necessita di asciugamano, Grande Satana incluso.

Dopo un’intro francamente anonima, nella quale i ripetuti tum-tum-tum sembrano presagire l’inizio di Raining Blood, l’album inizia ad entrare nella sua dimensione più congeniale, ovvero il pestare di brutto radendo al suolo qualsiasi cosa. Ciò che più emerge dal sound degli Inquisition è una grande attitudine verso le sonorità che resero grande il black metal e il poco spazio lasciato al compromesso, cose ovviamente sempre gradite dagli amanti del genere e non solo.

Il primo trittico del lotto, composto da From Chaos They Came, Wings Of Anu e Vortex From The Celestial Flying Throne Of Storms, punta tutto sull’acceleratore ed è totalmente votato all’impatto. La chitarra di Dagon vomita riff serratissimi come posseduta da un’entità malvagia e tentacolare, che la batteria di Incubus completa ed amalgama alla perfezione colpo su colpo. Il sound è violentissimo, votato al power chord, al tremolo e all’arpeggio malsano; pochi sono gli sprazzi di melodia, di “aria”, c’è solo spazio per momenti dal groove più marcato e il tutto sprizza aria di Norvegia da tutte le parti nonostante provenga dalla ben più calda Colombia. La voce di Dagon, molto particolare, risulta lontana e meno presente rispetto al resto, marchio di fabbrica inconfondibile che qui è anche fin troppo marcato.

A Black Aeon Shall Cleanse e The Flames Of Infinite Blackness Before Creation scoprono il lato più oscuro e salmodiante degli Inquisition in maniera sufficiente e senza mordere, è quindi con la seguente Mystical Blood che si torna a fare sul serio con un songwriting di ottimo livello e un riffing che non lascia scampo. Through The Divine Spirit Of Satan A Glorious Universe Is Known ha un riff portante abbastanza banale che, però, viene valorizzato a dovere, elaborato il giusto e portato al parossismo rivelandosi alla fine uno dei migliori episodi dell’album. La titletrack, della quale non si capisce l’infelice collocazione in tracklist, si rivela un coraggioso brano strumentale di quasi sette minuti dalle grandi potenzialità, purtroppo soffocate e annientate da un sottofondo già corposo e dalla durata oltre il livello di guardia. Un paio di brani in meno gli avrebbero dato molto più risalto e importanza.

Gran finale affidato alla coppia Power From The Center Of The Cosmic Black Spiral e A Magnificent Crypt Of Stars, che non manca assolutamente l’appuntamento con la distruzione totale che ci si aspettae puntualmente arriva.

Per esigenza narrativa vi è una doppia outro che musicalmente aggiunge davvero nulla; è però presente una quattordicesima traccia nell’edizione deluxe del disco, che consiste nella cover di Once Upon A Time dei Typhon.

Grande ritorno degli Inquisition quindi, che mantiene le promesse e appaga tutte le aspettative e le attese. Bloodshed Across The Empyrean Altar Beyond The Celestial Zenith non perderà di certo clienti, anzi, rafforzerà ed amplierà ulteriormente sia l’affezionata fanbase che la fama del duo colombiano. Dobbiamo però parlare per forza, prima di congedarci, dell’unico difetto della band: gli Immortal. Per quanto ci si possa girare attorno, evitare di parlarne e via dicendo, va detto che il sound degli Inquisition deve davvero tutto ad Abbath e soci, un orecchio poco allenato potrebbe addirittura confondere le due band. Il derivare stilisticamente non toglie comunque tutti i pregi al duo, guadagnati con tanto sudore e passione. Se cercate un black metal ortodosso, violento e dalla produzione potentissima, il nuovo album degli Inquisition è ciò che fa per voi; per i fan ovviamente l’acquisto è obbligato.

Certezze.

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