Recensione: Bloodtruth
I lettori meno giovani certamente ricorderanno cosa significava mettere “sul piatto” un album di metal 100% made in Italy fino a qualche lustro fa: ottime idee, grande impegno, talento e capacità, spesso e volentieri frustrate da una generalizzata mancanza di professionalità; registrazione approssimativa, mix impresentabile, copertine a dir poco risibili, Inglese opinabile ed imprecisioni varie che contribuivano ad alimentare la già di per sé imperante esterofilia. Poi le cose man mano sono riuscite a cambiare: i primi a fare davvero le cose sul serio furono probabilmente gli Extrema di Tension At The Seams e si dovette aspettare l’ondata power-prog tricolore di fine anni ’90 per esser certi di poter trovare lavori prodotti nella Penisola capaci di poter reggere il confronto qualitativo con le patinate produzioni estere. Nel campo estremo, poi, forse solo i Sadist potevano godere dei mezzi tali da non sfigurare. Attenzione, non si parla di qualità intrinseca dei pezzi, ma di tutto il contorno valido per poter presentarsi nel modo opportuno sulla scena internazionale. Oggi, fortunatamente, non è più così. Anche in Italia possiamo vantare l’orgoglio di produrre un metal valido sotto tutti i punti di vista ed è forse proprio nel death che stiamo mettendo a segno i colpi migliori, grazie a lavori curati nel contenuto e nella forma. E’ questo il caso degli umbri Bloodtruth, che con Obedience danno alle stampe un lavoro valido a 360°. Fondati nientepopodimeno che da Francesco Paoli e Paolo Rossi dei Fleshgod Apocalypse, la band ha poi dovuto trovare validi sostituti visti i continui impegni della band di Labyrinth: è stato in questo modo che l’unico membro rimasto Stefano Rossi Ciucci ha dovuto reclutare i validi Luigi Valenti alla voce, Riccardo Rogari al basso e Giacomo Torti alla batteria. Al di là degli illustri natali, i Bloodtruth si presentano con un disco di debutto maturo e sostanzialmente inattaccabile: se vogliamo tagliare la testa al toro e trovare subito l’unico vero difetto alla proposta del gruppo umbro, possiamo affermare che oramai si tratta di un genere che soprattutto dalle nostre parti è tutt’altro che originale: death metal brutale e tecnico, perfetto mix tra le proposte polacche e quella dei maestri Nile. Tutt’altro che originale, si diceva, tanto da poter tranquillamente parlare di “Italian Brutal Death Metal” (Hour Of Penance, Hideous Divinity, Logic Of Denial, Septycal Gorge, Antropofagus, etc). Se per voi questo non è un problema (come crediamo, se siete arrivati a questo punto), tanto vale buttarsi subito nell’analisi del lavoro. Intelligentemente, i Bloodtruth cercano un segno distintivo da tanti illustri colleghi e ci riescono andando ad sviluppare un concept monastico, concretizzato nella ripetuta proposizione di canti gregoriani in latino e inserti d’atmosfera. Il tutto arricchisce la proposta di un’aura mistica e spezza la cascata di brutalità che altrimenti sarebbe incessante. Diversamente dai “cugini” Fleshgod Apocalypse – curioso il tributo in copertina, espresso attraverso il pavimento di una cripta che ricorda in tutto e per tutto il labirinto di cui sopra – che sembrano oramai aver scelto la strada sinfonica a scapito del puro death metal, i Bloodtruth centellinano gli stacchi a tema e li usano solo per creare atmosfera e nell’ottica di caratterizzare al meglio il concept. Un pezzo come Surrounded By Blind Bigots, ad esempio, non può che essere valorizzato da un’intro come la corale (nel vero senso della parola) Subvenite. Tanta tecnica, mai fine a se stessa, sapiente uso di stacchi e accelerazioni, nessun puerile rallentamento “ballabile”, solo qualche break ben dosato come ponte per la successiva ripartenza (Foresworn, forse uno dei pezzi migliori). La registrazione è regale, il mix nitido e perfetto (realizzato presso i “soliti” 16th Cellar Studios di Roma) valorizza ciascuno strumento e permettere di apprezzare il lavoro realizzato da ogni componente. Opportuno menzionare anche l’ottimo operato svolto da Luigi Valenti, con un growl potente ed irriducibile, che trova la sua massima realizzazione dal vivo (provare per credere). Buona anche la fase solista (Coerced To Serve) a dir la verità centellinata, ma questa non sembra essere una grave mancanza, tenendo conto come sia evidente la strutturazione dei pezzi attorno a riff e base ritmica. I pezzi sono tutti di breve durata, ma ciò non sembra limitare la loro intrinseca ricchezza di contenuti. Ci si chiede però dove la band di Perugia potrebbe arrivare se propendesse per un approccio di ampio respiro e minore immediatezza: ciò viene parzialmente fuori nella title-track, che ad un primo ascolto sembra essere più ricca in termini di composizione e arrangiamento.
Abbiamo le band, abbiamo musicisti e compositori, studi e produttori validi in Italia. Ci vorrebbe qualche etichetta specializzata in più (mi viene in mente solo The Spew Records, mentre in questo caso l’album è edito dalla statunitense Unique Leaders), un maggiore seguito e il Belpaese si trasformerebbe nel vero e proprio Santuario del death metal. Per i Bloodtruth, certamente, il posto nel Coro sarebbe già pronto…
Vittorio “Vittorio” Cafiero