Recensione: Blot
È uscita da qualche mese l’ultima fatica dell’ormai trio norvegese Einherjer, patroni del folk-viking metal fin dal loro primo, accorato Aurora Borealis, piccolo gioiello uscito in tempi decisamente non sospetti, 11 anni fa, quando il viking moderno emetteva i primi vagiti. Uscita dopo uscita, con alterne fortune, diversi anni fa pubblicano “Norwegian Native Art”, album a mio avviso pessimo che li trascina via dal viking di Odin Owns Ye All e li porta su binari annacquati, lattiginosi, con poca ispirazione e ancor meno significato. Ora finalmente le press release della TABU parlano chiaro: gli Einherjer sforneranno 60 minuti di puro, galoppante, feroce viking metal! Saranno i re incoronati del genere che li ha visti crescere come sequoie tra i concorrenti! Eccetera eccetera. Beh questo Blot almeno a parole prometteva molto bene.
Finalmente all’acquisto possiamo notare una cosa, continuano insistentemente a utilizzare il computer per trattare tutto quanto, copertine, libretti e CD, facendo perdere quel bel gusto artigianale che non solo aveva caratterizzato la loro produzione fino a Norwegian Native Art, ma che dovrebbe essere classica di un genere terreno e grezzo come il viking metal. Copertina un po’ casuale e grafia sul CD che ricalca quella del loro splendido Far Far North, solo che stavolta è “bronzata”, ma più che bronzata sembra che il CD sia andato letteralmente a fuoco.
Frode Glesnes, Aksel Herløe e Gerhard Storesund mantengono il loro look da indemoniati fradici di sangue, look inaugurato con il cambio di stile di Norwegian Native Art, e già questo mi è sembrato un po’ un controsenso. Sono andati palesemente a cercare una promozione che li riportasse al periodo di Dragons of the North più che a quello di Norwegian, eppure non hanno cambiato immagine e produzione.
Tra l’altro, da buon amante delle intro, e da particolare amante delle intro degli Einherjer, sempre di gran gusto, mi aspettavo subito un grande inizio, e così è stato. Blot si apre con una intro pomposa, con lupi, corvi, mare in tempesta e lunghi corni epici, con una marcia che sembra uscire direttamente da un esercito di einherjer che diparte dal valhalla… con quel retrogusto di sintetizzato e di pacchiano con dei “colpetti” di coro che fanno tanto grezzo e tanto viking. Non nego di essere stato emozionato alla fine dell’intro, tanto che finalmente mi aspettavo che salissero in groppa ai loro cavalli e ci facessero cavalcare per un’ora in un ottimo medley viking.
Invece… traccia dopo traccia… la mia emozione si è spenta come una candela che si consuma da sola, e mi è addirittura accaduta una cosa offensiva per la musica, ovvero a metà del CD ho avuto il desiderio di spengere il lettore e mettere qualcosa d’altro. Solo ripresomi dallo stato di torpore che mi aveva assalito ho realizzato che un sentimento del genere al primo ascolto di un album indica qualcosa che davvero non va.
Diciamolo chiaro e tondo, insomma. Blot è noioso. Ma noioso a morte. Io mi sono reso conto della “buona” volontà che ci hanno messo per presentarci un prodotto di buon livello. Tecnicamente è sicuramente l’apice della band, anche se non è poi questo gran ché. L’album dura oltre un’ora, le canzoni hanno un discreto equilibrio di chitarre e addirittura ci dimostrano delle infiocchettature tecniche qua e là, ora con degli stacchi tipicamente prog come in “Ironbound“, ora con delle cavalcatone heavy, ora con dei cori maschili ben strutturati, e ora con degli assoli di buona tecnica ma scarsa presa.
Il problema è che è tutto un lago di melodie informi, senza prese, senza punti ai quali l’ascoltatore si può aggrappare per iniziare la comprensione delle canzoni.. tutte le canzoni scivolano in una omologazione impressionante, e questo è dovuto ai volumi tutti uguali, alla batteria incalzante ma povera, secca, senza rilievi degni di questo nome, le chitarre rotolano per tutta la durata di tutte le canzoni, e purtroppo il growl di Frode ha perso tutta la sua espressività, caratteristica già palese in Norwegian, che in Blot diventa ancora più palese. Il suono è poco rotondo, è magro, non convince molto… spesso passano le canzoni senza accorgersene, con solo alcuni pezzi che risvegliano l’ascolto come un breve ma interessante omaggio a un riff di Inferno di Odin Owns ye All in Hammar Haus, o un bel pezzo corale epico di “Ingen Grid“. Purtroppo le melodie sono tutte simili, e l’album è praticamente torturato da parti strumentali e assoli infiniti, in cui sembra che il cantante sia proprio andato via e non voglia tornare più. Insomma niente da dire davvero, testi metà in norvegese e metà in inglese che cantano le solite tematiche vichinghe, interessanti, soprattutto in Dead Knights Rite, ma ormai dubito che gli Einherjer sappiano bene di cosa parlare, e l’ispiratissimo periodo eddico di Far Far North sembra ormai svanito in un momento in cui mi pare si stiano trascinando alla ricerca di una ispirazione che ormai è solo una pallida compagna di cammino.
Insomma, un album onesto sicuramente, ma incolore e addirittura fastidioso se comparato alle ultime uscite viking. Se non avessero troppa concorrenza, che in questo 2003 è stata agguerritissima, probabilmente sarebbe un album mediamente interessante, ma ora come ora non so se ci spenderei nuovamente 18 euro, alla fulgida luce di Falkenbach, Asmegin, Finntroll, Månegarm e compagnia bella. Poche scintille in un fuoco tutto sommato ormai morente.
Tracklist:
1. Einheriermarsien
2. Ironbound
3. Dead Knight`s Rite
4. Wolf-Age
5. The Eternally Damned
6. Ware Her Venom
7. Hammar Haus
8. Starkad
9. Ride The Gallows
10. Ingen Grid
11. Berserkergang
12. Venomtongue