Recensione: Ghost Stories
Si è formata e consolidata, negli anni recenti, una fruttuosa partnership tra i Blue Öyster Cult, celeberrima band di hard rock che ha attraversato cinque decenni di carriera e di successi con un sound ricco di svariate ascendenze stilistiche e di testi stracolmi di spunti letterari e fantascientifici, e la label specializzata Frontiers.
In conseguenza di tale alleanza, all’inizio del decennio in corso sono stati proposti o riproposti diversi lavori della formazione statunitense, quali studio-album relativamente recenti e a cui non era stata serbata l’attenzione che meritavano, e dischi che testimoniavano performance dal vivo.
Il clou della “riscoperta” dei BOC è stata, però, in quel 2020, l’uscita di un album di canzoni inedite e nuove di zecca, quel “The Symbol Remains” benissimo accolto da pubblico e critica.
In cotale scenario, ha subito ingolosito gli ammiratori del Culto dell’Ostrica Blu la notizia dell’imminente arrivo di un nuovo disco d’inediti. L’atteso album è ora arrivato, si intitola “Ghost Stories”, ma non contiene canzoni nuove di zecca, bensì un ripescaggio di tracce realizzate nel periodo d’oro della band, dal 1978 al 1983 (una sola è del 2016, una cover dei Beatles), rivitalizzate anche con la collaborazione di Richie Castellano (più recente ma ormai solidamente integrato membro della band).
Alcune canzoni qui presentate sono cover, peraltro di brani alquanto popolari tra i fans del rock. Parliamo delle rendition di Kick Out The Jams, cover meno selvaggia dell’originale degli MC5, ma che non fa comunque prigionieri, di We Gotta Get Out Of This Place dagli Animals, vivace ed energica, e, infine, di If I Fell una riproposizione dal repertorio dei Beatles con chitarra, voci e percussioni gradevole ma nulla più.
Tra le tracce inedite ed originali, parecchie sono quelle di particolare interesse, anche perché ennesime testimoni di quell’eclettismo che ha sempre contraddistinto i BOC.
Pensiamo alla lenta, misteriosa e fascinosa So Supernatural, oppure ad una The Only Thing che è un buon esempio di quel soft rock elegante che andava molto di moda proprio quei tempi lì in cui è stata composta. Ancora, Shot In The Dark ha un’apertura addirittura di stampo jazz per diventare poi un rock veloce e catchy con il pianoforte ben in evidenza così come, insieme alle chitarre, nel midtempo r’n’r Money Machine.
Ben rappresentato, naturalmente, il filone più tipicamente hard rock, con un arco stilistico che va dall’hard rock/AOR potente e un tantino patinato di Don’t Come Running To Me al rotolante hard/boogie con grandi riff chitarristici di Gun, fino al rock’n’roll catchy, sbarazzino e guitar-oriented di Cherry.
In generale, è ben raffigurata anche tra questi brani la capacità dei BOC di spaziare e di mescolare spunti eclettici boogie, hard, prog e psichedelici, con sempre ben manifesto lo stile seminale delle chitarre e l’immancabile ma mai banale amabilità melodica.
Tirando le somme, possiamo dire che, sebbene non sia un album di canzoni di fresca composizione, bensì un ripescaggio di composizioni escluse della pubblicazione ai tempi della loro composizione, “Ghost Stories” è tutt’altro che una release inutile. L’album, infatti, è piacevole e le canzoni sono di buon livello – sebbene siano state “scartate” quando furono scritte – ed in grado di dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, qual era e qual è il valore dei Blue Öyster Cult, visto che persino le tracce che erano rimaste nel cassetto sono comunque di questa invidiabile qualità.
Francesco Maraglino