Recensione: Bone Collector
Puntuali come un becchino ad un funerale, ecco tornare con un nuovo album i Grave Digger. Tra le prime uscite di questo 2025, questo nuovissimo Bone Collector esce in concomitanza con i quarantacinque anni di attività della band tedesca. Che poi, a dir la verità sarebbero quarantuno, contando un temporaneo scioglimento, ma non saranno certo queste fastidiose puntualizzazioni da nerd tuttologi a mettere in discussione la longevità dei becchini tedeschi. In ogni caso, risale al 1980 la nascita dei Grave Digger, i quali quattro anni più tardi scuoteranno la scena musicale con il debutto Heavy Metal Breakdown. Dopo questi quattro decenni, arriviamo così ai giorni nostri, con Chris Boltendahl e soci ancora impegnati a sfornare album senza dare segni di cedimento.
Qualche mese fa, questo nuovo lavoro veniva annunciato via social, come un ritorno alle radici del heavy metal. Una dichiarazione sinceramente un po’ singolare, visto che, a parte una parentesi nel 1987, la formazione tedesca non è mai uscita dal solco di un metal di matrice classica, sempre poco propenso a sperimentazioni di qualsiasi tipo. Di certo, questo tanto proclamato ritorno al passato, non riguarda la copertina, realizzata, come già fatto da altre band, con l’innovativa, quanto discussa IA. Ed anche per l’artwork di Bone Collector, il risultato finale convince poco, figurando freddo e senza personalità rispetto a quella che potrebbe essere un’opera disegnata da un qualsiasi artista. Senza contare che, nell’illustrazione, certi dettagli sono stati curati in modo abbastanza approssimativo.
Guardando invece alla componente musicale, in questa nuova uscita si è deciso di non ricorrere a parti di tastiere, acustiche o sinfoniche, particolari che in ogni caso, anche nei precedenti lavori, erano presenti comunque in quantità molto limitata. Solo chitarre potenti, batteria schiacciasassi, basso implacabile ed una voce lacerante come la carta abrasiva. Un tipico album dei Grave Digger insomma, ben bilanciato tra heavy/power marcatamente teutonico e mid tempo monolitici.
Una novità concreta invece, la si può trovare nella line-up, con Axel “Ironfinger” Ritt che lascia la band dopo quattordici anni per venir sostituito dal nuovo acquisto Tobias “Tobi” Kersting. Rimangono al loro posto invece Jens Becker (basso), Marcus Kniep (batteria) oltre all’intramontabile vocalist Chris Boltendahl.
L’accoppiata d’apertura formata da Bone Collector e The Rich The Poor The Dying, si mette subito in mostra per un’irruenza di quelle può fare esplodere le casse del vostro stereo. Un muro sonoro crudo e spietato che mira subito al bersaglio sfoderando le solite armi usate dal combo tedesco. Nessuna sorpresa neanche con Kingdom Of Skulls, che dopo l’introduzione del basso galoppante di Jens Becker rivela la sua anima cupa ed ossessiva. Si esce un po’ dal registro invece con The Devils Serenade, un hard rock orecchiabile con qualche richiamo ai Motörhead. Melodie catchy si possono trovare anche nel ritornello di Killing Is My Pleasure, pezzo che si muove sui binari di un heavy metal potente ed aggressivo.
Made Of Madness ci piomba addosso come un rullo compressore, mentre Mirror Of Hate alterna un riff di chitarra squadrato ad un arpeggio tetro.
I Grave Digger calcano maggiormente la mano con le atmosfere dark su Riders Of Doom, un mid tempo pesante dall’incedere funereo ed un refrain angosciante. Forever Evil & Buried Alive parte bene con un riff di chitarra bello scoppiettante per poi andare ad impantanarsi in un ritornello un po’ frettoloso. Un difetto questo, che è spesso presente nella discografia dei Grave Digger. Non di rado infatti, nei loro lavori capita di imbattersi in brani promettenti sulle prime note ma che invece di esplodere con un idea indovinata, vanno a cozzare in qualche ritornello piatto che tende ad azzoppare il pezzo. Graveyard Kings è un classico tempo medio dalla struttura di granito sorretto dai riff il nuovo entrato Kersting. Il disco si chiude con Whispers Of The Damned, un gradevole lento dall’aspetto lugubre che ruota su di un arpeggio spettrale.
Nonostante Bone Collector sia indubbiamente un disco coriaceo e corposo, non verrà ricordato di certo come un’album memorabile. Piuttosto come un lavoro passabile, dove non manca qualche pezzo con buoni spunti, ma lontano dai picchi della trilogia medievale. Così come da quelli del dirompente Heavy Metal Breakdown, del quale Bone Collector era stato presentato come la logica continuazione.
Un lavoro nella norma, senza particolari vette qualitative, che offre al Grave Digger una buona scusa per andare in tour.
E lì, i becchini tedeschi, possono ancora far vedere i sorci verdi.