Recensione: Book Of Bad Decisions

Di federico venditti - 27 Settembre 2018 - 19:45
Book Of Bad Decisions
Band: Clutch
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2018
Nazione:
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88

Sembra incredibile, ma i Clutch, guidati da Neil Fallon, macinano sudore e stoner/southern rock dal lontano 1990, anno della loro formazione, in un inarrestabile crescendo di album uno meglio dell’altro. La band di metalmeccanici del Maryland (si vestono con tute da meccanico dal vivo) è un “unicum” nel panorama stoner americano, dal momento che suonano una miscela del tutto personale di stoner/southern e blues, il tutto suonato con una grinta ed originalità che è raro sentire in giro. Ma se questo non bastasse nel nuovo “Book of Bad Decisions”, troviamo dei nuovi elementi alla ricetta del combo di red necks, come una sezione di fiati che rendono alcuni brani irresistibili e ballabili.
 

Questo nuovo capitolo dei Clutch è l’ultimo sigillo del trittico di assoluti classici sfornati dal 2013 in avanti con “Earth Rocker” prima e proseguito poi con “Psychic Warefare”. Sembrava impossibile che la band pubblicasse un lavoro di qualità cristallina come questo ed invece Neil Fallon e soci sono riusciti nell’impresa, grazie a brani di ottima fattura come l’opener “Gimme the Keys” o il mid tempo di “Spirit of 76”.  Tutto sembra procedere sui soliti standard con i quali ci ha abituato il gruppo, ma ecco che parte “In Walks Barbarella” e un tornado elettrico si abbatte sulla vostra abitazione, lasciandosi dietro detriti e macerie. Questo pezzo sembra un ibrido tra una band stoner/rock che jamma con un James Brown strafatto di sostanze stupefacenti, con una sezione di fiati che dona un tocco funky al brano. Si prosegue con la tellurica “Weird Times”, un pezzo insistito dove Fallon ripete allo sfinimento il ritornello non risultando pero’ noioso, anzi si ha voglia di buttarsi in mezzo al pogo.
 

La ballata notturna “Emily Dickinson” sembra essere uscita dalla penna di Josh Homme, con quel mood rilassato e desertico con un hammond leggermente accennato nel ritornello che arricchisce con sapori californiani un brano da applausi. Se si volesse essere pignoli, l’unico difetto che posso trovare a questo album, è l’eccessiva durata della scaletta (un totale di 15 brani), ma di fronte a catarpillar come “Ghoul Wrangler” non ci si può assolutamente lamentare ed anzi ringraziare i Clutch nel continuare a deliziarci con lavori eccelsi dopo quasi trent’anni di carriera. I Clutch sono la band che vorresti trovare in un saloon malfamato nel sud degli States, quando ti sei scolato dieci birre e vuoi un ultimo giro di shot di whiskey, prima di iniziare una scazzottata.
 

I Clutch sembrano non accusare battute d’arresto ed anzi in chiusura ci regalano una semi-ballad “Lorelei”,che si aggiunge alle numerose gemme dell’album e che non avrebbe affatto sfigurato su un disco dei ZZ Top degli anni settanta.

Uno degli album migliori di questo 2018. Fatelo vostro senza pensarci due volte!

 

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