Recensione: Book of dreams
Sin dai suoi primi vagiti sul finire degli anni sessanta, il progressive europeo è stato sempre sinonimo di musica adulta e colta nel quale, oltre all’amore per certe sonorità d’atmosfera a tratti quasi dilatate, lontane anni luce dal manierismo fine a se stesso che imperava in maniera quasi perseverante in quegli anni, confluivano la passione per l’arte, la letteratura, la conoscenza dei classici e l’impegno intellettuale, facendo di questo genere la summa massima mai espressa prima di allora in campo rock.
Musica ed arte dunque, un binomio indissolubile al quale pare non sottrarsi nemmeno lo splendido “The book of dreams” degli italianissimi Mangala Vallis, sorta di super gruppo nato dalle menti di tre amici reggiani e portato avanti con una sagacia ed una perseveranza senza pari, pensate solo che fra la stesura dei brani e la registrazione, ci sono voluti ben quattro anni prima che tante fatiche vedessero la luce su questo dischetto ottico.
Ma la perseveranza è la tenacia sono le virtù che appartengono ai grandi così Gigi Cavalli Cocchi alla batteria, Enzo Cattini-tastiere e Mirko Consoli-basso/chitarre, hanno dato vita ad uno di quelli che la “Billboard guide of progressive music” chiama eventi prog della nostra era. Detto che la formazione è completata da un manipolo di session man davvero eccezionali (vi dice niente Bernardo Lanzetti?, NdBeppe), ricordo che in sede compositiva i Mangala Vallis hanno usufruito dell’apporto creativo di Eugenio Carena, autore fra l’altro di tutti i testi di un album che si snoda attraverso un concept dedicato alle opere dello scrittore Julus Verne ( Viaggio al centro della terra, 20.000 leghe sotto i mari), dove la musica reincarna alla perfezione il mondo immaginario dello scrittore francese in un crescendo di forti emozioni fra reminiscenze di prog rock britannico, Genesis, Yes e Gentle Giant in primis, e alta scuola italiana come nella tradizione de il Banco, PFM e Osanna, il tutto filtrato attraverso un’ottica moderna che conferisce all’album un suono al passo coi tempi.
I tre musicisti, vecchie conoscenze per i fruitori di sonorità raffinate, riescono a fare convergere nel loro suono tutte le loro precedenti esperienze in campo musicale, senza lesinare di certo la loro grande padronanza tecnico/strumentale degna dei maestri sopraccitati, dando vita ad un album intenso ed emozionante ricco di cambi d’atmosfera che riportano alla memoria suoni ed ambientazioni di un passato non troppo lontano.
I magnifici anni settanta sono oramai lontani, i grandi dinosauri sono diventati dei fossili, facenti parte comunque dei folti ranghi delle istituzioni del rock internazionale, ma la musica dei Mangala Vallis resterà impressa nelle memorie di chi ha fatto del progressive rock una sua ragione di vita. “Ars nova, vita brevis”? Credo proprio di no!!!!!! Caldamente consigliato agli amanti della musica con la “m” maiuscola.
Beppe “HM” Diana