Recensione: Border Of Reality
Border Of Reality è un disco fondamentale, sotto molteplici punti di vista, nella carriera degli Angel Dust in quanto, se da una parte segna il ritorno discografico dopo dieci anni di inattività (il precedente To Dust You Will Decay è infatti datato 1988), dall’altra è l’album della prima vera metamorfosi, non definitiva, della band della Westfalen. Dopo lo slayeriano esordio discografico rappresentato da “Into The Dark Past” (1986) ed il successivo spostamento, due anni dopo, a sonorità più prettamente legate al power metal di stampo americano, i Nostri tornato sul mercato con un disco difficile da catalogare in cui le reminescenze del passato e le avvisaglie del futuro sono ben presenti in un album dalle mille sfaccettature, che può essere inquadrato come il naturale momento di transazione che porterà a sfornare, negli anni a seguire, due veri e propri capolavori quali “Bleed” (1999) ed “Enlighten The Darkness” (2000).
Il cammino lungo la linea che separa realtà ed immaginazione e che demarca il passato dal futuro inizia con la title track, pezzo estremamente diretto e ben radicato nella tradizione power di matrice statunitense. Un tagliente riff dai riferimenti speed, supportato da un utilizzo evocativo delle tastiere, ci introduce a quello che è senza alcun dubbio il miglior brano del platter e che esplode in un refrain nel quale la calda voce di Dirk Turisch si libera in tutta la sua potenza. I testi, molto profondi e personali, sono relativi alla confusione mentale e alla difficoltà di riconoscere la realtà e vengono esaltati dall’emozionante break centrale nel quale prende vita uno stupendo solo incrociato di chitarra e tastiera per poi planare di nuovo sul vincente ritornello sino alla conclusione di un pezzo che annovero senza dubbio tra i grandi classici del power metal.
Sono le ipnotiche tastiere del bravo Steven Banx ad introdurre la successiva “No More Faith”, brano nel quale la matrice thrash della band si fa sentire con ritmiche serrate prima di lasciare spazio ad una interpretazione da applausi, in termini di pathos, da parte di Dirk, il tutto sorretto dalle tastiere e da un apporto della sezione ritmica semplicemente devastante che confezionano un pezzo che definire moderno è limitativo. La perdita della speranza viene coerentemente rappresentata con un pezzo duro, cattivo e mutevole.
Le paure umane che portano alla perdita di speranza si trasformano in un vero e proprio incubo che viene rappresentato dalla successiva “Nightmare”, la quale si configura come un mid tempo dai ricchi innesti sinfonici prima di un ritornello inaspettatamente melodico in cui ancora una volta sogno e realtà, incubo e paure si fondono in un luogo etereo. Con la successiva “Centuries” si torna alle sonorità più marcatamente power con gli immancabili accostamenti sinfonici a dare teatralità al brano, mentre la sezione ritmica da vita ad un lavoro spigoloso e potente, che mi ricorda le sonorità tanto care ai connazionali Rage, sino al ritornello, la cui spiccata melodicità, risulta un po’ troppo distante dal complesso musicale dell’album facendolo risultare il brano meno ispirato del lotto dal punto di vista delle linee vocali.
“When I Die” rappresenta forse al meglio, con i suoi quasi dieci minuti di durata, l’anima più visionaria e teatrale degli Angel Dust e si apre con i suoni di un mondo lontano e mai dimenticato a cui la delicata chitarra di Bernd Aufermann si accompagna in versione acustica, per l’occasione, e da vita ad un brano lento e malinconico, ricco di trasporto emotivo e riflessivo, legato alla paura di essere soli nel momento in cui avrà termine la nostra vita. Il crescendo emotivo dei testi è ben accompagnato dall’aumentare di intensità della musica che porta ad un toccante ritornello che, a sua volta, prende la forma di un vero e proprio urlo disperato. L’incredibile break musicale alterna pezzi di stampo jazzistico ad accelerazioni brucianti in un mutare di suoni, sentimenti ed immagini di grande originalità ed impatto in cui un incredibile miscela di suoni e generi ci porta nei meandri della più folle genialità musicale.
La sperimentazione rimane il fondamento anche della successiva “Where The Wind Blows”, nella quale dopo un inizio di matrice classica in cui sono il basso e la batteria a fare da accompagnamento alla superba voce del biondo singer, si materializza un refrain caratterizzato da delicate tinte pastello, il tutto prima di lasciarci avvolgere dalla solita imprevedibilità con cui gli Angel Dust dipingo i loro brani e nei quali i colori del power vengono striati da inserti prog e da una parte strumentale sincopata che viene introdotta dai suoni di uno xilofono.
Come uno squarcio di sole in un cielo nuvoloso la successiva cover dei Rainbow “Spotlight Kid” è un ritorno ai canoni musicali più tradizionali anche se, l’omaggio a Cozy Powell, viene proposto in una versione personale.
Con “Behind The Mirror” si arriva a quello che considero il brano meno riuscito dell’album e nel quale per la prima volta ai Nostri non riesce l’ardito compito di sintetizzare in musica le proprie visioni con la consueta sensibilità.
L’ultimo capitolo è affidato a “Coming Home” che, come da titolo, rappresenta, anche in musica, un ritorno a lidi più tradizionali e reali dopo il lungo viaggio musicale tra visioni, paure e sogni.
Parlavo di viaggio, di passato e di futuro, di paure e di speranze, di visioni e di realtà: tutto questo è presente in “Border Of Reality” e se gli aspetti più esaltanti e qualitativamente elevati esploderanno nei successivi lavori della band teutonica, questo rimane un momento fondamentale della loro crescita artistica, capace di regalare emozioni e buona musica seppur mancando di quella uniformità qualitativa che renderà grandi i lavori successivi.
Marco Ferrari
Tracklist:
1 Border Of Reality
2 No More Faith
3 Nightmare
4 Centuries
5 When I Die
6 Where The Wind Blows
7 Spotlight Kid
8 Behind The Mirror
9 Coming Home
Line Up:
Dirk Thurisch – Vocals
Bernd Aufermann – Guitar
Dirk Assmuth – Drums
Steven Banx – Keyboards
Frank Banx – Bass