Recensione: Borderline
Gli On-Off nascono in Lombardia come tribute band degli AC-DC, alla fine degli anni 90, facendosi conoscere nel Nord Italia e in Svizzera attraverso la partecipazione a numerosi live in locali, pub, festival ecc. Solo nel decennio successivo, tuttavia (2000/2010), il gruppo “si evolve” indirizzandosi verso un target più ostico e impegnativo, producendo musica originale.
Nel 2010 vede la luce il primogenito “Ribcrasher”, che riscuote grande successo tra gli appassionati del genere in Italia e all’estero.
Il 2012 è l’anno della conferma, con l’uscita di “Don’t forget the roll”, che rappresenta la logica prosecuzione del progetto varato due anni prima.
Ora, a quattro anni di distanza, Truemetal torna a occuparsi della band, visto il recente battesimo di “Borderline”, l’ultimo nato in casa On-Off con una formazione, peraltro, quasi completamente rimaneggiata. E’ con una certa curiosità, quindi, che accendiamo il lettore e diamo il via alle danze.
“All the time in bed with you” inizia a diffondere un suono che, fin dai primi accordi, risulta subito familiare, di chiara reminiscenza AC-DC, e che via via diventa più massiccio e corposo, affiancato da basso e batteria. Un ottimo biglietto da visita nel segno della continuità del quartetto, con il classico assolo chitarristico della parte centrale, dal sound ruffiano e coinvolgente.
Un inizio veloce e spedito, trascinante come quando si apre il gas della moto, contraddistingue “Crime don’t pay”, con una possente sezione ritmica a sostegno e dei riffoni chitarristici che scandiscono il motivo dominante.
La successiva title-track, “Borderline”, esordisce con degli stacchi poderosi che aprono la strada a passaggi prettamente heavy, dal groove assai incisivo. L’assolo di chitarra, di notevole spessore, si innesta e si disimpegna con grande agilità nella struttura dell’intero brano.
“I’m dead, I’m dead” si presenta come un inno all’Hard Rock sano e genuino, con le chitarre sugli scudi e i cori ben curati, un bridge rallentato e suggestivo che poi riparte a manetta nel segno dei canoni tradizionali di questo genere tanto glorioso quanto immortale.
Basso e batteria incidono nella roccia il tempo di “Drums beat riff”, presto seguiti dal resto della banda in un’allegra e spensierata cavalcata Rock and Roll.
La traccia successiva, “Night gamble”, è un pezzo assai intrigante con suoni appropriati e un tiro travolgente.
Vivacità e dinamica sono le caratteristiche di “The one for the road”, incalzante nel ritmo fin dalle prime battute, assecondata da riff mozzafiato e stacchi potenti.
Proseguendo nella progressiva scoperta delle tracce, troviamo la simpatica “Washing machine”, che si distingue per un refrain ossessivo e ripetuto, seppur variegato e ben articolato, sulla base di un mid tempo robusto e incisivo.
“Noose” si apre con un arpeggio chitarristico, poi affiancato da un corposo quanto indovinato accompagnamento strumentale, in linea con la melodia dominante del motivo centrale, orecchiabile e penetrante quanto l’assolo, che emerge per incisività e gusto.
Un’overture di spiccata personalità del binomio basso / batteria introduce “After a long workday”, fornendo un timing naturale, schietto, martellante, finché la chitarra non prende in mano le redini della canzone con piglio deciso, assecondato da parti vocali e cori che esprimono entusiasmo e spontaneità.
Cori ben strutturati e chitarre al top sono pure gli elementi essenziali di “Your love I never got”, quanto mai grintosa e rockeggiante, sempre nel rispetto dei precetti che la Storia insegna e tramanda.
“Punishment” si allinea alle regole dell’indimenticata “old shool”, con un riff penetrante che resta impresso e scolpito nella mente, in complementarietà con le voci e una base ritmica dal contributo essenziale, che continua a pompare con inesauribile energia.
Dopo aver navigato sui ritmi delle dodici tracce che ci hanno accompagnato finora, approdiamo alla bonus – track “Blue balls”. Questa song è la tipica ciliegina sulla torta, in quanto riprende un discorso intrapreso agli inizi della storia (parliamo dei tempi degli esordi con “Ribcrasher”), per ribadire la fedeltà alle proprie radici, nella fattispecie strizzando l’occhio al Blues, da cui tutto è derivato. La parte iniziale è scanzonata, goliardica, con un approccio smaccatamente Bluesy, ribadito dall’armonica di Davide Speranza e dall’uso sapiente dello slide di Alessandro Taveggia. In seguito il brano diventa sempre più accattivante, assumendo via via maggior spessore e coesione, candidandosi così come uno dei migliori episodi dell’intero album.
L’ascolto di “Borderline” ci suggerisce alcune brevi considerazioni. Innanzitutto il piacere di esserci goduti un po’ di sano Hard Rock tradizionale, condito con una giusta dose di freschezza e originalità, seppur risulti alquanto arduo, oggi, portare dei contenuti innovativi in tale ambito musicale. La band, pur rimaneggiata rispetto alle precedenti edizioni, ha saputo anche in questo contesto rappresentare le componenti che avevano già contraddistinto i lavori precedenti ovvero: familiarità e riconoscibilità dei suoni, cura nella produzione, coerenza nel proporre un genere storicamente ormai “inflazionato”, professionalità e attenzione ai dettagli pur nell’immediatezza e semplicità delle linee melodiche, il tutto servito con un sano e spensierato entusiasmo e con un’immutata voglia di divertirsi e far divertire.
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Il disco, registrato presso lo Studio di Giorgio Andreoli, è stato mixato da Giorgio Andreoli e Paolo Dal Broi presso Giorgio Andreoli’s Studio di Busto Arsizio (MI) e masterizzato da Alberto Cutolo (Massive Arts Studios di Milano).