Recensione: Born In America
Anno 1983: i mostri sacri dell’heavy sfornavano i loro capolavori. Band come:Manilla Road, Culprit, Savatage stavano scrivendo i comandamenti di un certo modo di concepire l’heavy metal americano in quella decade. Anche a New york due band stavano per cambiare questo genere, distaccandosi pesantemente dalle influenze tipicamente british. I Manowar rilasciarono il loro vero masterpiece ovvero “Into Glory Ride” e i Riot questo “Born in America”.
Cosa si può dire dei Riot? Secondo me una delle band di heavy americano più sottovalutate di sempre… Facciamo però un piccolo passo indietro facendo un breve riassunto della carriera di questo gruppo formidabile. La band capitanata dal chitarrista “Padre-padrone” Mark Reale debuttò alla fine degli anni ’70 con due album molto hard rock oriented. Nel 1981 cominciano a raccogliere i primi successi pubblicando il capolavoro “Fire down under”. Dopo un tour di supporto ai Rush il singer Guy Speranza lascia la band e viene sostituito da Rhett Forrester: voce meno heavy, ma più calda, molto devota al blues.
Questa formazione (Rhett Forrester-voce Mark Reale-chitarra Rick Ventura-chitarra Kip Leming-basso Sandy Slavin-batteria) pubblica due album: “Restless Breed” e per l’appunto questo “Born in America“. Disco veramente bello, che fonde l’heavy di stampo puramente americano con qualche vaga reminescenza blues, senza dimenticare i metal gods, o meglio conosciuti come Judas Priest.
L’album parte con la leggendaria title track, veramente heavy sostenuta da un riffing quadrato e da poderosi 4/4. Di questo brano esiste anche un video-clip veramente pacchiano, in puro stile teen-movie americano anni ’80. Si prosegue con la maledettamente catchy e ultra melodica “You Burn in Me” che con il suo ritornello ci porta in lidi quasi AOR. Un intermezzo acustico apre “Wings of Fire” che la fa sembrare apparentemente una ballad, ma che poi sfocia in una song tamburellante sostenuta da una ritmica dinamica e coinvolgente. Degno di nota anche l’assolo,veramente ben concepito.
Si passa alla terza traccia “Running From the Law” che ricorda vagamente sin dal titolo una certa “Breaking the law”. I ritmi si fanno più hard rock e anche qui gli assoli delle due asce lasciano il segno. “Devil Woman” invece è la concretizzazione delle influenze blues citate prima. Un brano veramente southern e passionale, che fa capire quanto Reale sia legato alla tradizione americana. “Vigilante Killer” è un tuffo nei ’70, esattamente come i Judas priest di “Stained Class” (L’album, non la canzone). “Heavy Metal Machine”, la traccia numero 8 ci trascina in un headbaging sfrenato, con i suoi riff affilati come rasoi e la velocità comunque abbastanza elevata rispetto agli standard del disco.
Dopo due tracce molto gradevoli che seguono più o meno le cordinate delle altre song, si presenta a chiudere l’album “Promised Land”, brano che rende tributo all’hard rock pù viscerale in particolar modo ai Led Zeppelin. I suoni sono in linea con le produzioni di quel periodo ovvero sporche ma emozionanti, al contrario dei suoni pompati che vanno di moda in questi ultimi anni.
Born in America chiude la “fase 1” dei Riot, che torneranno solamente nel 1988 con il grande Thundersteel e Tony Moore alla voce.
Rhett Forrester verrà assassinato il 22 Gennaio del 1994 poichè immischiato in diversi giri criminali.
Gianpiero “Hellstar” Papini
Tracklist:
1)Born in america
2)You burn in me
3)Wings of fire
4)Running from the law
5)Devil woman
6)Vigilante killer
7)Heavy metal machine
8)Where soldiers rule
9)Gunfighter
10)Promised land