Recensione: Born In Violence
Non è mai facile arrivare al traguardo del debut-album, specie se il genere proposto è quanto di più lontano dalle mode del momento. Lo sanno bene gli Endless Pain, formazione bresciana attiva ormai da un lustro e devota al verbo del thrash metal più infernale e oltranzista, di chiara ispirazione teutonica. Nata nel 2001 dalle ceneri dei Nuclear Storm, la band si è ritagliata un discreto spazio incidendo tre demo-tape che hanno raccolto i favori degli appassionati (The Cruel Way Of War, 2002; The Cruel Way Of Live, 2002; Shotgun Carnage, 2003), nonostante reazioni contrastanti tra gli addetti ai lavori. Grosse soddisfazioni sono arrivate dal fronte live, con le prestigiose partecipazioni a due edizioni del Titans Of Thrash (2003 e 2004), l’apparizione al Tradate Iron Fest (2004) e al Metal Camp sloveno (2005) e la gioia di condividere con gli eroi Destruction la data casalinga di due anni fa.
Born In Violence ribadisce, al pari delle precedenti registrazioni, il desiderio di rievocare le glorie di un passato sempre più lontano, eppure così vivo nell’omaggio che le generazioni successive intendono tributargli. Premessa doverosa, che anticipa un punto chiave della presente recensione: come valutare, oggi, un prodotto che fa del fiero anacronismo il proprio manifesto programmatico? Se infatti va apprezzata la volontà dei Nostri di suonare per pura passione, nella più totale indipendenza artistica, dall’altra non sono trascurabili alcune scelte (di carattere tecnico e stilistico) che rischiano di compromettere la bontà del lavoro nel suo complesso. Caso più lampante la ricerca a tutti i costi di sonorità vintage, che finisce per mortificare le composizioni con una gamma di suoni sterili, senza profondità, che mescolano e confondono gli strumenti in un groviglio di non facile assimilazione; decisione che non è peraltro imposta da limiti di budget ma esprime un preciso desiderio dei Nostri, apprezzabile nell’intento ma non nei modi realizzativi.
Le note negative purtroppo non finiscono qui: alla produzione scadente si aggiunga infatti la prova non esemplare del vocalist Juso (impegnato in un ibrido scream / growl che francamente non si addice alla proposta del gruppo) e un’esecuzione piuttosto approssimativa del materiale offerto, come testimonia l’opener Nuclear Storm.
Le buone intuizioni non mancano, a partire dall’accoppiata Psychopathic / Buried Alive: pezzi che lasciano intravedere una grande potenzialità (da verificare on stage), nonostante una produzione incapace di dare risalto a ogni singola componente – batteria in primis. Nel complesso la tracklist si orienta tra brani convincenti (The 3rd Antichrist o la conclusiva, adrenalinica Holy Beer) e passaggi decisamente più banali, a riprova del fatto che i problemi non vengono solo dalla consolle. Non aiuta in questo senso le generale staticità della proposta, che, salvo sporadiche sfuriate d’intenzione black, si assesta su un thrash metal lineare e essenziale nelle strutture.
Se non ci sono dubbi sulla convinzione di questi ragazzi, che hanno investito tanto su Born In Violence (e accessori: ottimi artwork e booklet), restano tuttavia forti perplessità su quello che, in fin dei conti, risulta l’elemento determinante in sede d’acquisto: la musica. La coerenza degli Endless Pain – merce rara di questi tempi – onora senza dubbio la sempre più nutrita scena italiana, ma questo non basta per raggiungerne i piani alti. La speranza è che le lacune evidenziate si trasformino in incentivi per il futuro, onde evitare un altro passaggio a vuoto.
Federico ‘Immanitas’ Mahmoud
Tracklist:
01 Nuclear Storm
02 Psychopathic
03 Buried Alive
04 ‘Nam ‘67
05 Browning Automatic Rifle
06 Sentenced By Hate
07 The 3rd Antichrist
08 Angel Of Apocalipse
09 Holy Beer
