Recensione: Bound to be Free Demos Anthology 86-92
Instancabile e inarrestabile l’opera di riscoperta archeologica in atto da parte della label inglese Blood&Iron Records: nel dettaglio è la volta dei/degli Wild Shadow, di Lisbona, mai giunti alla release di alcunché di ufficiale, in una carriera lunga poco meno di dieci anni costellata da tre demo di inediti e un live.
Bound to be Free – Demos Anthology 86-92 è un Cd che raccoglie tutto quanto uscito nella storia dei lusitani in uscita limitata a trecento copie. Il lavoro, al solito, è accompagnato da un succoso libretto di sedici pagine, con la storia della band in lingua portoghese, tutti i testi, molte foto della band, le copertine dei vari demo e qualche flyer di concerto.
I primi passi della band con il moniker ultra-defender dalle asce stilizzate prese in prestito da quello dei Saxon prende piede nel 1985, nel momento in cui tre metallari impenitenti, senza esperienza alcuna, decidono di far baccano attraverso alcuni strumenti musicali: Paulo “Grande” alla batteria, Aquiles “Quinito” alla chitarra e José Gomes alla voce. L’anno dopo è la volta del primo demo, contenente quattro pezzi, dalla resa sonora piuttosto scarsa, in linea con quanto accadeva mediamente anche dalle nostre parti…
Qualche rimescolamento all’interno della line-up fortifica il Credo degli Wild Shadow che approdano al secondo demo nel 1987, con la seguente formazione: Paulo, Aquiles, Zé e la new entry Lafayette, chitarrista che irrobustisce il sound del gruppo. Strano l’atteggiamento della band: dopo essersi beccata il classico due di picche da un paio di etichette, non si sa se per scelta o per quale altro motivo, evita di spedire il materiale alle fanzine del periodo, limitandosi a far circolare la musicassetta all’interno di un gruppo ristretto di amici. Unica uscita è l’intervista del 1988 realizzata presso una radio pirata di Lisbona. Il 1990 vede l’abbandono del cantante Zé Gomes, un mese prima dell’importante concerto fissato in qualità di opening act per gli Alkateya. Alla voce, per l’occasione, viene reclutato João Henrique (ex Sts Paranoid) che mollerà il colpo poco dopo. L’instabilità cronica della line-up porterà alla dipartita di Paulo e all’ingresso di Gabriel “Gabi” alla voce e di Fernando al basso. Il terzo e ultimo demo griffato Wild Shadow viene registrato dai cinque metaller di Lisbona in uno studio a ventiquattro piste a cavallo fra il 1991 il 1992. Anche in questo caso nessun interesse viene palesato dalle label portoghesi, alle quali la band aveva inviato la musicassetta. João Carlos prende il posto di Lafayette – scomparso nel 1995, non a caso il Cd è dedicato alla sua memoria – e l’ultimo loro concerto si tiene all’interno di un “band contest” presso il Graça (Lisbona). Il fatto di venire eliminati per “età media della band troppo elevata” fece il resto, portando lo scoramento a limiti di guardia. Nel 1993, infatti, venne ufficialmente sciolto il gruppo.
Bound to be Free – Demos Anthology 86-92 si apre con i quattro pezzi del demo del 1992, quelli che per ovvi motivi legati alla qualità del suono riescono a valorizzare appieno le potenzialità siderurgiche del combo lusitano. La fuck you attitude dei cinque metaller portoghesi viene esplicitata per il tramite del suono delle chitarre: assassino e a grattugia come sapevano fare i Metallica degli inizi, quando ancora portavano brufoli e jeans sdruciti, lontani dal clamore di anche solo qualche anno dopo.
Shadow of Death inizia arpeggiata per poi deflagrare sulla spinta di asce dure e pure incalzate dall’ugola a la Hetfield di Gabi, per un viaggio attraverso l’HM anni Ottanta lungo quattro minuti e quaranta. Ancora inizio “molle” per la successiva Winds of Freedom che si mantiene su registri melodici per tutta la propria durata, da rimarcare l’eccellente prova del singer su di un pezzo improntato alla classica ballad – peraltro sempre di moda – incalzata da asce impietose nonostante l’impianto al miele. Bound to be Free è assalto heavy metal senza se e senza ma, ove la band vira per un approccio più Metal Church/Malice. Stessa solfa martellante per l’ultimo pezzo del Demo III, Victim of Society, all’insegna dell’US HM più tradizionale e tradizionalista, rafforzato da cori maschi sul refrain. Dopo essersi goduti queste quattro canzoni c’è davvero da chiedersi di che tipo di prosciutto sulle orecchie facessero uso i discografici portoghesi del periodo, capaci di negare una chance ai nostri “eroi”…
I restanti pezzi, undici per la precisione, come scritto sopra danno un’idea della parabola artistica intrapresa dai Wild Shadow, sia alle prese con la registrazione di inediti che dal vivo, ma costituiscono per lo più una testimonianza, per via di una resa sonora sbilanciata e realmente povera in termini di qualità espressa alle casse. Niente di scandaloso, sia ben chiaro, anche qua in Italia nella stragrande maggioranza dei casi si viaggiava su certi standard: da cantina, orientati verso il basso…
Trecento copie per un’uscita del genere evidentemente costituiscono il corretto quantitativo atto a soddisfare i più curiosi fra i metaller d’Europa così come gli ultra-mega-defender battenti bandiera rossoverde.
Venha!
Stefano “Steven Rich” Ricetti