Recensione: Boys Town
Parlare dei Nasty Idols equivale a tirare in ballo qualcosa che, dalle parti del circolo polare (o poco più sotto), si avvicina ai contorni della leggenda “underground”.
Conosciuto ed osannato in patria, il gruppo fondato da Andy Pierce e Dick Qwarfort ha avuto origine nel lontano 1987 in quel di Malmö – terra da sempre fertile in ambiti rock – con l’intento di emulare i grandi esponenti della scena hard d’oltreoceano, New York Dolls, Kiss, Sweet ed Alice Cooper su tutti.
Investiti da fama e notorietà nel giro di poche primavere, i musicisti svedesi conobbero il picco massimo di successo in seguito all’ottimo “Cruel Intention” del 1991, disco che usciva agli albori dell’epoca legata a noti fenomeni musicali, poi destinati a cancellare in un sol botto tutto ciò che aveva animato i sogni e le fantasie dei rockers del decennio appena concluso.
Come tanti altri, infatti, anche i Nasty Idols, non supportati da una major ed in balia di dati di vendita divenuti deficitarii, si videro costretti ad affrontare il dilemma per eccellenza che si presentava ad una band di hard rock “filo americano” ad inizio anni novanta.
Sputtanarsi completamente, incupendo suoni e tematiche per venire incontro alle imperanti mode grunge ed alternative, o piuttosto scomparire in maniera onesta e dignitosa dopo la pubblicazione di un quarto acuto discografico (ipotizzato per il 1995, ma mai effettivamente disponibile prima del 2002, con il titolo di “Heroes for Sale”), nell’attesa di tempi migliori?
La risposta è storicamente nota e giunge oggi a tutti gli effetti con “Boys Town”, quinto capitolo disponibile da pochissime settimane, che la dice lunga sulla scelta operata “illo tempore” dalla band nordica.
Testimone, se mai fosse ancora necessario, del rinnovato e sempre più corposo interesse che le sonorità anni 70 / 80 hanno, da qualche anno a questa parte, ripreso ad esercitare sui fruitori di musica, il nuovo album di Pierce e soci recupera il discorso esattamente là dove aveva dovuto interrompersi quasi quattordici anni fa. Nel cuore e nell’anima del più classico sleaze metal di scuola statunitense.
Proprio così. Un album datato 2009 che suona tremendamente retrò, intriso di tutti gli elementi, dell’attitudine e dello spirito più tipici e consolidati del glam, è quanto hanno da proporre i riformati Nasty Idols, gruppo, oggi come allora, fiero testimone di uno stile facilmente inquadrabile in un arco storico compreso tra fine anni settanta ed inizio ottanta.
I pregi ed i difetti, facile da capire, sono endemici ed inevitabili dunque.
Verve, brio e voglia di divertire sono base imperativa posta quale fondamento d’ogni singola composizione. Originalità, capacità di sorprendere e forza innovativa, elementi del tutto estranei e fuori dalla portata.
Naturale quindi, accogliere con piacere la serie di dodici brani offerti con piglio autoritario dai quattro musicisti, così come assolutamente scontato, conoscere sin dal principio quello che sarà l’evolversi, nella sua completezza, dell’intero disco.
Lasciata da parte l’iniziale “Rock Out”, canzone, in effetti, poco efficace a causa di una monotonia rilevabile in particolar modo nel coro reiterato allo sfinimento, il resto è puro rock n’roll alla vecchia maniera, cadenzato e ciondolante, vicino come sempre alle muse di un tempo (Twisted Sister e New York Dolls su tutti) e nobilitato dalla prestazione del singer Andy Pierce, frontman che potrebbe trarre in inganno più di un ascoltatore facendosi credere in realtà il più blasonato Mr. Jeff Keith dei grandiosi Tesla.
La bella grinta messa in mostra dalle interessanti “Method To My Madness”, “Scar For Life” e “Crashlanding”, non permette poi il sorgere di dubbi sulla riuscita dell’operazione “revival” cui i Nasty Idols hanno deciso di partecipare, e regala materiale in quantità per le orecchie e la gioia dei numerosi nostalgici del genere, di certo sulle tracce di un album a loro esclusivamente dedicato.
Per farla breve insomma, va tutto bene. A partire dai suoni, ben curati e di qualità, per finire ai brani stessi, mediamente validi e con qualche picco d’ottimo valore.
Va tutto bene. A patto che, il conoscere già in partenza la trama di un film, di un libro o, come in questo caso, di un disco, non sia per voi un deterrente di peso nello scegliere i vostri passatempi quotidiani.
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Tracklist:
01. Rock Out
02. Boys Town
03. Method To My Madness
04. Scar For Life
05. Nite Like This
06. Crash Landing
07. 48 Hours
08. 7 Year Itch
09. Evil One
10. It’s Not Love
11. Need The Nite
12. It Ain’t Easy
Line Up:
Andy Pierce – Voce
Dick Qwarfort – Basso
Rikki Dahl – Batteria
Peter Espinoza – Chitarra