Recensione: bpm 69
L’Heavy Metal Italiano fece capolino verso la fine degli anni ’70 evolvendosi dalla florida scena Progressive dell’epoca composta da band di prim’ordine quali PFM, Banco del Mutuo Soccorso e Le Orme, per richiamarne solo alcune, che non disdegnavano di avvicinare il proprio sound alle sonorità tipiche dell’Hard Rock distaccandosi, così, dal modo di comporre tipico della “canzone italiana”.
Sulla scia di queste nacquero band come la Strana Officina di Livorno, i Death SS di Pesaro ed i Vanexa di Savona. Il coraggio di questi pionieri, che li ha portati a superare ostacoli di ogni sorta pur di portare avanti la propria passione, suonando in luoghi sperduti davanti a poche persone, ha posto solide basi per il futuro movimento tricolore, diventato in seguito uno dei più energici al mondo.
Ed è così che nei primi anni ’80, in contrapposizione alla Dance Music ed alla New Wave che spopolavano tra le masse, si distinsero band del calibro di Crying Steel, Hocculta, Skanners e Sabotage per quanto riguarda il Metallo più tradizionale e Bulldozer, Necrodeath e Schizo a rappresentare la frangia più estrema.
E poi ancora, dagli anni ’90 in poi: Extrema con il loro Thrash Metal, Labyrinth e Rhapsody of Fire per il Power Metal, Node e Sadist a rapresentare il Death Metal e i Lacuna Coil che hanno ottenuto un successo mondiale con il loro Gothic Metal.
Oltre alle punte di diamante, delle quali è stata elencata solo una modesta rappresentanza, il panorama che compone il sottobosco underground italiano è vastissimo e formato da artisti dalle qualità eccezionali che dicono la loro al pari dei colleghi stranieri, contribuendo da sempre all’evoluzione di un genere purtroppo sottovalutato nella nostra penisola.
Panorama di cui fanno parte i Second Skin, provenienti da Argenta, comune del ferrarese di valenza storica e purtroppo colpito dai duri bombardamenti degli Alleati durante la seconda guerra mondiale.
Nati nel 2012 dall’unione di musicisti di estrazione diversificata che va dall’Hard Rock al Thrash Metal fino al Melodic Death Metal, i Second Skin miscelano il tutto con idee proprie, dando vita ad un Heavy Metal energico e potente, ma dotato di una precisa linea melodica. Il risultato è ben riassunto negli otto brani che compongono “bpm 69”, promo che la band ha pubblicato quest’anno.
Trattasi di un album più che valido con il quale i Second Skin riescono a trasmettere la passione per la propria musica scuotendo l’ascoltatore con un forte attacco sonoro condotto a colpi di riff grintosi e refrain carichi di energia. La voce di Dario interpreta bene i pezzi, sia quando canta in clean con forte estensione come facevano gli Hard Rockers di un tempo, sia quando passa alla tecnica growl per sottolineare momenti di rabbia ed aggressività. Le due “asce” Nico e Rob tengono vivo ogni pezzo con vigorosa energia sia durante le fasi ritmiche che durante gli assoli. Anche bassista e batterista, rispettivamente Palmer ed Uccio, svolgono bene il loro lavoro; peccato che la produzione non li abbia fatti emergere del tutto ……….
L’album ha una durata complessiva di poco più di trentatre minuti; tutte le tracce meritano l’ascolto, in particolare l’opener “Futile Idols” ha un incredibile riff iniziale potente ed incisivo che introduce le strofe molto articolate; queste conducono ad un assolo e, poi, al cuore del pezzo cantato in growl. Buono il riff finale che richiama il periodo NWOBHM.
Veramente notevole è la melodia di “Slipping Through memories”, sottolineata dalla capacità che Dario ha di estendere la voce a livelli molto alti. Per dare un’idea l’atmosfera del pezzo è la stessa che Michael Kiske degli Helloween riuscì a dare a “We Got the Right” da “Keeper of the Seven Keys part II” del 1988. Molto validi la crescita di potenza e l’alternanza dei tempi medio e più veloce; molto vivace è lo scambio di assoli tra le due chitarre.
Le successive “Slobberry field” e “This Fuckin’ Night” mettono in luce la vena Hard Rock del combo mentre “Call Me”, cover del più grande successo della pop band Blondie e tema del film “American Gigolò” del 1980, dimostra che i ragazzi hanno anche voglia di divertirsi suonandola a modo loro; il risultato è esplosivo e sarebbe interessante conoscere il pensiero di Debbie Harry in merito.
Chiude l’album l’eccellente “Oppressor” dal ritmo molto potente derivato dalle sonorità dei Black Sabbath di “Children of the Grave”. I Second Skin chiudono la loro prova alla grande sfoderando tutte le loro qualità compositive e strumentali.
Pollice in alto, dunque, per una band dalle idee chiare in grado di regalare forti emozioni e che ci auguriamo che presto entri a far parte della storia dell’Heavy Metal Italiano.