Recensione: Braindead

Di Marco Donè - 27 Aprile 2016 - 0:01
Braindead
Band: Lost Society
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2016
Nazione:
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50

Predestinati, prescelti, il nuovo che avanza, sopravvalutati, ripetitivi, poco originali… Questi alcuni degli aggettivi con cui sono stati descritti i Lost Society, giovanissima band di Jyväskylä, Finlandia. Pareri discordanti, una sorta di familiare ritornello che ritorna in auge ogniqualvolta dei giovani newcomer si dimostrano capaci di attirare attenzioni sul proprio operato, con l’inevitabile risultato di formare due opposte fazioni tra gli appassionati: gli estimatori e i detrattori. Il quartetto finlandese calza infatti a pennello in questa categoria, essendo stato in grado di ottenere un contratto con la prestigiosa Nuclear Blast Records già a partire dal debut album, quel Fast Loud Death, edito nel 2013, che proiettò la formazione scandinava sotto i riflettori della N.W.O.T.M.

 

A volte si va a simpatia, altre a gusti personali, ma se volessimo capire quale delle due fazioni possa aver ragione, la risposta ci verrebbe data solo ed esclusivamente dalla band stessa. Una delle due controparti potrebbe dire di aver visto giusto se i dischi pubblicati dalla compagine frutto della discordia risulteranno in grado di superare o meno la prova del tempo. E se provassimo quindi ad analizzare i Lost Society? Da che parte penderebbe l’ipotetico ago della bilancia? Come sempre, in questi casi, proviamo ad andare per gradi.

 

Nonostante risultasse un lavoro acerbo, Fast Loud Death mise subito in luce interessanti potenzialità che facevano ben sperare in previsione futura, soprattutto se andiamo a considerare la giovane età della band. La carta d’identità dei componenti più vecchi del quartetto finlandese indicava infatti la “veneranda” età di vent’anni. Fu soprattutto questo dato ad attirare attenzioni attorno al nome Lost Society creando molte aspettative sul successivo full length. Nel 2014 venne così pubblicato Terror Hungry, un lavoro che lasciò, purtroppo, l’amaro in bocca. Le ingenuità del debutto continuavano a essere presenti, mettendo in luce una mancata crescita e una mancata maturazione da parte dei giovani thrasher finlandesi. Un secondo capitolo che, alla lunga, risultava noioso, privo di pezzi in grado di lasciare un qualcosa ad ascolto finito e, nel tentativo di curarne ogni suo aspetto, venivano meno quell’entusiasmo e spontaneità che avevano caratterizzato il debutto.

 

Con queste premesse, nell’anno domini 2016, è facile dedurre come Braindead, attesissima nuova release dei quattro finnici, rappresenti un passaggio cruciale per la carriera dei Lost Society, una sorta di prova del nove per capire se le ottime premesse messe in mostra con l’album d’esordio possano divenire realtà o meno. Iniziando l’ascolto del disco è facile notare come la rodata collaborazione con i Sonic Pump Studios di Helsinki continui a dare i suoi frutti. Come da tradizione per il quartetto finlandese la produzione risulta ben curata, riuscendo a valorizzare il lavoro di ogni singolo strumento, rappresentando quindi uno dei punti di forza dell’album. Altra peculiarità a balzare subito all’attenzione è l’ormai nota abilità tecnica cui il quartetto di Jyväskylä ci ha abituati fin dall’esordio, dove le chitarre di Samy Elbanna e Arttu Lesonen fanno la voce grossa, in particolare nella solistica. Fin qui, quindi, i Lost Society non tradiscono le aspettative, confermando due punti che hanno sempre contraddistinto le loro release dal 2013 a oggi. Ma se su questi due aspetti non vi erano dubbi, rimane da scoprire se Braindead sia in grado di rappresentare il disco della definitiva maturazione per Elbanna e soci, un disco capace di regalarci una band dal songwriting convincente dall’inizio alla fine. Senza tanti giri di parole rispondiamo subito a questa domanda e, purtroppo, la risposta è negativa.

 

Entrando nel dettaglio, con Braindead i Lost Society cercano di rendere maggiormente varia e al passo coi tempi la propria proposta musicale, inserendo nel loro revival thrash elementi al limite del groove e qualche accenno metalcore à la Trivium. Il risultato è un disco discontinuo, incapace di graffiare e privo di passaggi e melodie in grado di stamparsi in testa già dal primo ascolto. Così, se con Fast Loud Death, in quanto debutto discografico, abbiamo chiuso un occhio e con Terror Hungry abbiamo solamente storto il naso, con Braindead siamo obbligati a fermarci, fare un respiro profondo e ammettere ciò che sapevamo già ma non avremmo mai voluto dire. Il limite dei Lost Society sta tutto nel songwriting. Soluzioni banali, passaggi triti e ritriti in cui il rischio del già sentito è sempre dietro l’angolo. È il caso di Hollow Eyes, in cui lo spettro dei Testament si fa notare, o Hangover Activator la cui trama chitarristica in più di qualche frangente richiama alla mente la seminale This Toy dei nostrani Extrema. Ma questi sono solo due esempi, la sensazione del già sentito citata poc’anzi la possiamo trovare in tutta la durata di questo terzo capitolo. Il disco scorre così, senza colpo ferire lasciando nell’aria una sorta di retrogusto che sa di incompiuto, come se la band avesse dalla sua enormi capacità senza però esser in grado di sfruttarle e svilupparle. Stessa cosa dicasi per i testi. Quando i nostri cercano di trattare tematiche impegnate, come in Riot e Rage Me Up, l’approccio risulta poco curato, poco approfondito, a tratti ingenuo. Un po’ come quando a scuola l’insegnate ci diceva “avete compreso l’argomento ma non siete riusciti a svilupparlo a dovere”. Va inoltre segnalato che la chiusura del disco viene affidata alla cover dei Pantera P.S.T.88, scelta che, se da un lato risulta originale, non andando a pescare tra le solite note della band del compianto Dimebag, dall’altro dice ben poco nell’economia del platter.

 

Come considerare Braindead, dunque? Come una prova di maturità non superata. Un disco che, pur avendo qualche pregevole passaggio, risulta incapace di graffiare, di assestare una vera e propria frustata. Un lavoro che lascia nuovamente l’amaro in bocca e pone qualche domanda sul futuro della band. Il 2016 sarà un anno in cui molte compagini dedite al revival thrash torneranno sul mercato. Nervosa, Dust Bolt, Havok, sono solo alcuni nomi che nei prossimi mesi pubblicheranno il nuovo full length, nomi chiamati a dare risposte sul reale valore di una scena come la N.W.O.T.M. continuamente sotto la lente d’ingrandimento. In ordine di tempo, i primi a dare risposta sono i Lost Society e, come già sottolineato, steccano ahimè il colpo. Vedremo cosa sapranno fare e come risponderanno gli altri nomi chiamati in causa.

 

Marco Donè

 

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