Recensione: Breeding a Divinity
I Fightcast arrivano al loro debutto discografico dopo una gavetta silenziosa sebbene di prestigio, costellata di aperture a gruppi come Caliban, Extrema e The Agony Scene. I nostri si caratterizzano per una proposta che resta strettamente ancorata al death melodico, ma lo ripropone nella sua via più moderna, accostandosi, più che ai classici del genere, a gruppi come Soilwork, As I Lay Dying e Killswitch Engage, il tutto con un gusto compositivo non indifferente che punta tutto sulla creazione di canzoni articolate che reggano al primo così come all’ennesimo ascolto. Possiamo dire immediatamente che i nostri centrano l’obbiettivo in pieno e vanno a porsi come uno dei migliori gruppi death/metalcore italiani degli ultimi tempi.
Breeding a Divinity si apre con Poison Cage, pezzo che mette bene in mostra tutte le qualità di una formazione che sa il fatto suo e non ha bisogno di tirare fuori virtuosismi esagerati o soluzioni barocche per creare canzoni che buchino le orecchie e si impongano all’attenzione dell’ascoltatore. Se ad un primo ascolto le strutture non sono immediatamente riconoscibili ed i cambi repentini di riff possono creare la strana sensazione di stare ascoltando il disco in un lettore portatile senza l’antishock, ben presto ci si adatta al sound e ciò che era fastidioso diviene quantomai interessante, aggiungendo notevole longevità al platter. I componenti classicamente metalcore ci sono tutti, dal ritornello melodico, al breakdown, alla strofa con riff a pivot, ma il gruppo romagnolo riesce ad integrare tutto in maniera originale e degna delle migliori uscite estere; certo, manca il classico coro per far cantare a squarciagola il pubblico ai concerti, oppure il singolone più thrash oriented alla Pleasure in Pain (Chimaira) o An Ocean Between Us (As I Lay Dying), ma alla fine non se ne può perdonare la mancanza, anche perché forse i vantaggi di varietà che avrebbe dato l’inserimento di una canzone del genere avrebbero poi chiesto dazio in termini di coerenza generale di una proposta che invece rimane sempre fedele a se stessa e non ha certo bisogno di attingere da stili “altri” per risultare pienamente convincente.
Ci troviamo dunque di fronte ad un gruppo in grado di reggere egregiamente l’impegno del full lenght, senza essere costretto ad inserire filler o comunque pezzi più deboli in tracklist e mostrando un’attitudine sperimentale che non va a discapito della musicalità complessiva. La produzione è eccellente, l’artwork di copertina pure, i difetti tuttavia ci sono e risiedono in una durata complessiva dell’album un po’ scarsina (34 minuti per 9 pezzi, di cui solo 8 veramente tali in quanto Breeding d Divinity è una outro) e nella mancanza del “pezzo sopra la media” ossia quello che di solito la gente va a rippare dal CD in modo da inserirlo nella playlist del proprio I-Pod. C’è tempo comunque, per ora ci godiamo questo disco, sperando di vedere i Fightcast in tour al più presto.
Tracklist:
1- Poison Cage
2- Filter
3- Three Ghosts for you
4- The White Pitch
5- Chrome Within
6- New Shade Behind
7- Illogical Trip
8- Charlie B.
9- Breeding a Divinity.