Recensione: Bridge The Gap

Di Roberto Forghieri - 15 Marzo 2014 - 19:17

Michael Schenker è il chitarrista preferito del sottoscritto sin dall’acquisto della copia vinilica del doppio “One Night At Budokan”. Insieme a “Tokyo Tapes” degli Scorpions ed  “Alive” dei Kiss – una triade di live memorabili – ha rappresentato il personale viatico per le sonorità rocciose che appartengono al nostro genere musicale preferito.

È quindi con assoluta parzialità che mi accingo all’ascolto di “Bridge The Gap” album nel quale ritroviamo già dalla formazione dei Temple Of Rock ulteriori elementi di stima incondizionata. Infatti, il biondo chitarrista teutonico si circonda della sessione ritmica di Tokyo Tapes, al secolo Francis Buchholz al basso ed Herman “Ze German” Rarebell dietro le pelli. Non può mancare il fedele Wayne Findlay, vera e propria estensione fisica di Michael alla ritmica ed alle tastiere, mentre la ciliegina sulla torta è rappresentata dal duttile  Doogie White (Rainbow, Malmsteen Praying Mantis, La Paz) nelle vesti del frontman.

Con queste inossidabili premesse si parte da “Neptune Rising” un breve brano strumentale in cui un incedere marziale lascia il posto al classico “Schenker sound“ utile nell’introdurre “Where The Wild Winds Blow”: il tempo sembra essersi fermato. Rimembranze “ufologiche” si fondono con un riff che ha impresso il marchio MSG, un arpeggio acustico lancia il primo solo di MS che lascia il segno.
“Horizons” è la versione Schenkeriana dei Rainbow al fulmicotone, con Rarebell che pesta a più non posso e la voce di White che lancia il secondo iperbolico solo di chi sapete già.
Al quarto brano è già amore, anche perché qui mr. Schenker cala l’asso: una song a dir poco magnetica, un riff ipnotico che è destinato a diventare un classico del repertorio del Mad Axeman. Tutti sotto il palco a cantare con White, “I am the Lord Of Lost And Lonely, sing my lullaby”…ovviamente l’assolo di Michael è da leggenda.
Non si è ancora spenta l’eco di “Lord Of The Lost And Lonely” che il pedale dell’acceleratore viene abbassato con “Rock n Roll Symphony”, pezzo ove la premiata ditta Rarebell/Buchholz fornisce la benzina che serve ad infiammare il motore dei Temple Of Rock.
L’incipit di “To Live For The King” è un forte richiamo ai primi anni 80 ed ai due album a nome MSG (“Let Sleeping Dogs Lie”) con White sempre più a proprio agio nei panni di cantore del Schenker-verbo.

Ancora 4/4 sparato per “Lord Of Thunder”, classico pezzo che non fa prigionieri, una delizia per tutti gli Schenker-dipendenti a cominciare dal chorus epico fino all’ennesimo solo funambolico.
“Temple Of The Holy” si cala in atmosfere mistiche con un riff vagamente orientaleggiante quasi zeppelininano, supportato dalle tastiere di Findlay ad accentuare l’arabian style che è sottolineato dalla Flying V bianca e nera, pronta a ricamare “arazzi” con le scale e ad intessere note dal sapore persiano.
Sempre Hard Rock con la maiuscola per la cadenzata “Shine On”, con White gran maestro di cerimonia ad evocare fantasmi color “Arcobaleno” … se Mr. Blackmore latita, Mr Schenker risponde presente…
“Bridges We Have Burned”strizza l’occhio ai Magnum di “On A Storyteller’s Night” con un ispiratissimo White che regge il paragone di un grandissimo come Bob Catley, per poi cedere il passo a sua maestà Re Michele pronto a far “urlare” la sua  Gibson.
“Because You Lied” è “Lovedrive” orientata, per cui prendere o lasciare, mentre “Black Moon Rising” rallenta il ritmo e punta a colpire per l’atmosfera mutuata dal periodo MSG che ha dato alle stampe album come “Assault Attack” e “Built To Destroy”.

A “Dance For The Piper” il compito di chiudere questo “Bridge The Gap” con la mission di incidere ancora. Ed il buon Schenker ovviamente non delude.

Nelle ultime uscite di Schenker i segnali per la release di un gran disco erano evidenti: finalmente le attese si sono materializzate in questo ottimo cd, realizzato da uno dei più talentuosi chitarristi che il panorama Hard’n’Heavy ha espresso dalla sua nascita.

A 40 anni di distanza il “Phenomenom” è ancora tale!

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