Recensione: Brief Nocturnes And Dreamless Sleep
È assai probabile che negli ultimi tempi Alan Morse di notti insonni e di sonni senza sogni ne abbia passate parecchie. La formazione storica degli Spock’s Beard, quella che assieme ai Dream Theater aveva dato nuova linfa al prog statunitense ed al prog in generale negli anni novanta, si sta riducendo via via sempre più. Interiorizzata la perdita del fratello Neal colto da un raptus di mormoniana memoria (ma comunque rientrato al suo fianco in sede compositiva), l’ormai maturo Alan ha dovuto fare i conti anche con la dipartita di Nick D’Virgilio. Nick, batterista e cantante di Collinsiana ispirazione, Nick che aveva preso per mano i compagni al momento di comporre Feel Euphoria, prima release del dopo Neal. Nick che ci aveva messo del suo a dare una Radiocraniata (nel senso di influenza Radiohead) alla band durante la svolta progalternativa di Octane. Nick si è trovato preda di milleuno progetti ed è passato due anni orsono al Cirque du soleil. Possiamo tranquillamente dirlo, una scelta pesante, ma anche un’offerta irrinunciabile. Da lì si può spiegare il chilometrico ed inquieto titolo dell’undicesima fatica di studio degli Spock’s, Brief nocturnes and dreamless sleep.
Ciò detto, come hanno reagito i proghettoni di Los Angeles? Invece di seguire l’esempio dei Genesis di And Then They Were Three hanno optato per un deciso espansionismo: da una parte promuovono Jimmy Keegan al ruolo di primo batterista immobile dopo anni di gavetta; dall‘altro arruolano un nuovo vocalist, quel Ted Leonard che si era fatto notare alla guida degli Enchant e che dal 2004 aveva vivacchiato tra partecipazioni e gruppi più o meno effimeri. Oltre a ciò, si nota un deciso espansionismo anche a livello di strumenti utilizzati per questa nuova prova discografica, il che fa prevedere novità e varietà ad un tempo.
E bravi Spock’s Beard, perché tra le tante cose è soprattutto l’innesto del cantante a portare nuova linfa alla band, non solo sul piano umano, ma anche compositivo. Leonard si fa autore di due dei sette episodi che compongono questo full-length, e contribuisce alla stesura di una terza traccia, in collaborazione con i dream brothers (Afterthoughts). Oltretutto il nuovo singer porta, sempre a livello compositivo, ma anche a livello di vocals, un bel po’ di Marillion. Ed eccolo dar forma ad una Submerged che pare un omaggio a Misplaced childhood e soprattutto all’energetica opener Hiding out, Phishosa sicuramente, ma decisamente più elettrica e vibrante in pieno stile Spock’s Beard.
Ad ogni modo, le novità presagite ci sono e non sono certo poche. E tutto il disco pare un’immenso compendio della storia del prog rock, tra Genesis del dopo Gabriel, Yes da Tormato a Drama, IQ subterranei e chi più ne ha più ne metta. Impossibile in tutto questo non citare le sfuriate di I Know Your Secret, tutta saliscendi. Più compita A Treasure Abandoned, per certi versi prossima ai Flower Kings più beatlesiani e meno prolissi (nove minuti per i Flower kings sono pochi, ormai lo sanno anche i muri). Altra menzione d’onore alle trame vocali di Afterthoughts, laddove s’intrecciano tre voci in maniera apparentemente casuale, laddove pertanto i Gentle Giant di Knots non possono essere ignorati. La liquidissima Something very strange si aggiudica la palma di brano dalle grandi atmosfere (Okumoto sugli scudi) e la conclusiva Waiting for me altro non é che un piccolo sunto dell’album, sebbene risulti, essendo diretta da frate Neal, decisamente votata ai cori blues e soul.
Tutto questo, si badi bene, senza mai rinnegare l’anima sonora degli Spock’s Beard. Naturalmente non ci troverete più nulla della band che ha scritto la storia del prog con The Light o Snow. Eppure noterete, pian piano, parecchie linee di continuità che rimandano ad Octane, a X, a Spock’s Beard. Detto in altre parole, la band di Los Angeles riesce ancora una volta nell’intento di svecchiarsi senza tradire sé stessa e di regalare almeno a noi sonni con tanti bei sogni colorati e lisergici.
Tiziano “Vlkodlak” Marasco