Recensione: Bring Me Home
Ok, facciamo come loro ed andiamo dritti al sodo, definendo in poche e chiare parole i contenuti musicali della loro proposta. I Raygun Rebels – giovane act tedesco giunto alla pubblicazione del primo album in carriera – suonano semplice, scarno e diretto hard rock “old school”, di quello che a partire da Chuck Berry, per passare agli Stones e finire agl’immancabili Ac/Dc, basa tutta la propria essenza su pochi e sudati accordi di chitarra, suoni che non vanno tanto per il sottile ed un bel po’ d’energia testosteronica.
In linea di massima, qualcosa di piacevole e sempre gradito all’orecchio dei sostenitori del genere, dunque: un modo di fare musica radicatissimo nella tradizione, tutto grinta e vigore, al riparo da invenzioni e ben lontano da lampi di genio o grosse sorprese.
In questo caso però, forse addirittura un po’ troppo.
Diciamoci la verità. Quante volte, ad un assiduo frequentatore di hard rock vecchio stile, sarà già capitato di ascoltare un album tale e quale al qui presente “Bring Me Home” dei Raygun Rebels? Inutile cercare un numero credibile: moltissime.
Il problema di quest’opera prima del quartetto germanico è già in buona parte proprio lì: nella pedissequa ed impersonale rivisitazione di canoni arcinoti e nell’infinita “spremitura” di uno stile che anche al meno attento dei rock fan, suona incredibilmente familiare e conosciuto.
Intendiamoci ad ogni modo: qualora spinto al massimo da qualche tonnellata di watt, schizzato in orbita da ritornelli potenti ed incisivi – di quelli canticchiabili dopo mezzo giro nello stereo – insomma, qualora suonato con il piglio autoritario di chi sa come “farlo rendere”, al caro, vecchio e fedele hard rock, delle innovazioni frega un bel nulla.
Il fatto è che agli “imberbi” Rebels difetta un po’ anche questo: la personalità.
A dimostrarlo non è un articolato sofisma che vorrebbe far passare la mancanza di novità, come dato essenziale per decretare il successo della proposta di un giovane gruppo.
Assolutamente no. A renderlo certo, sono proprio le canzoni di cui i Raygun Rebels si rendono protagonisti, un concentrato di cliché, cosa finanche sopportabile, che però appare talvolta incolore e privo di mordente, con cori da ingenua party band liceale, un riffing che spesso non riesce a “far male” e quella vaga sensazione di noiosa ripetitività che, giunti al termine dell’ascolto del disco, lascia addosso l’idea di aver trascorso del tempo con qualcosa che non ci ha dato granché in termini d’emozione.
Certo, ci sono gli evidenti assalti al songwriting degli Ac/Dc facilmente rilevabili in “Lay Down Baby” e “Financial distress Blues” – episodi in cui l’hard dei celebri canguri si mescola all’irriverenza losangelina degli eighties – ci sono alcuni riverberi anni settanta di discreto gusto e riuscita e c’è quest’aria da belli e dannati (un bell’occhiolino anche al look) che senza dubbio catturerà dal vivo molte fan.
La sostanza però non cambia più di tanto e ad uno sguardo complessivo, offre una panoramica ottima nel prodotto (molto elegante la confezione del cd), curatissima nell’immagine, ma ancora bisognosa d’aggiustamenti a livello puramente musicale. E soprattutto, un po’ sprovvista di quell’ingrediente che non deve mancare mai ad una band di questo tipo: l’attitudine.
Quella che, per citare un esempio giunto alla nostra attenzione di recente, anima un gruppo formalmente analogo come i Vietcong Pornsurfers: stesso genere e parecchi riferimenti in comune, ma molto “look” in meno e tantissima “rock attitude” in più.
Con risultati, quasi diametralmente opposti.
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Tracklist:
01. Here We Are
02. Lay Down Baby
03. Financial Distress Blues
04. Goodbye
05. I Want You
06. Let Me Go
07. The Killer
08. Bring Me Home
Line Up:
Danny Raygun – Voce / Chitarra
Dom Raygun – Chitarra
Pelle Ericson – Basso
Flick Rick – Batteria