Recensione: Bringer of Pain
“Immagina la scena: Noora ed il resto dei Battle Beast contro Anton Kabanen. Una gran litigata, si sfiora la rissa, complice qualche birra di troppo. Di Noora Louhimo c’è da aver paura, quando si arrabbia. Il nodo della questione? I ragazzi, capitanati dalla cantante, vogliono comporre un disco intero con lo stile di ‘Touch in the Night’, una roba a metà tra ballatona metal e dance pop tastierosona anni 80. I ragazzi sono in superiorità numerica, al chitarrista non resta che darsela a gambe e formare una nuova gang!”
“Ma no, dai, avranno litigato per le solite questioni contrattuali, o magari non si trovavano più bene assieme in tour…”
“Comunque vada, i Battle Beast non saranno più gli stessi, il nuovo disco sarà un vero e proprio capitolo zero senza il compositore di tutti i brani dei primi tre dischi… preparati a ‘Touch in the Night 2.0!’ e di’ pure addio al power metal!”
“Staremo a vedere…”
Dopo l’esilio del chitarrista e fondatore dei Battle Beast Anton Kabanen a febbraio del 2015, in redazione e sul nostro forum iniziavano a circolare ipotesi bislacche come questa. Del resto due sole cose erano certe: l’ineluttabilità di un prevedibile cambiamento di stile senza lo storico compositore, ed il grade talento di Noora che mi sembra ancora una vera garanzia, tra le più rappresentative e grintose vocalist degli ultimi anni. Niente creature leonine o robottoni, tocca proprio a lei comparire, per la prima volta, nella ruggente copertina del disco: a riprova della presenza di una vera frontwoman carismatica ed indiavolata, nelle vesti della “Bringer of Pain” della situazione. Il disco è nuovamente prodotto da Nuclear Blast, registrato e missato in Finlandia, rispettivamente ai Finnvox Studios ed agli Atomic Spa Studios. Ad impugnare la chitarra vacante Joona Björkroth, fratello del tastierista Janne. Ma bando alle seppur dovereose premesse, è tempo per i nuovi Battle Beast di mettersi finalmente alla prova, nella speranza che il dolore suggerito dal titolo non finisca per essere quello delle nostre orecchie.
La prima notizia in rapporto alla discussione sopracitata è che una nuova “Touch in the Night” c’è, ed è pure molto più danzereccia e tunz tunz. Stiamo parlando di “Dacing with the Beast”, brano che stuzzicherà l’odio represso degli hater di turno, ma che costituisce un simpatico intermezzo alla penultima posizione della scaletta, al netto delle bonus track. La seconda notizia è che il cambiamento paventato nei mesi precedenti l’uscita del disco, effettivamente, c’è stato. Non ci sono più tracce di chiara matrice power metal, ed il genere proposto dai finnici spazia dall’heavy all’hard rock a contaminazioni più pop-oriented, sempre col gusto della melodia nei refrain che caratterizza da sempre i Battle Beast. La grinta di Noora è intatta, semplicemente trasfigurata in un habitus in parte differente da quanto visto finora. I brani di apertura trasudano grinta ed energia heavy, con la carica di “Straight to the Heart” e la mitragliata della titletrack “Bringer of Pain”, con una solida sezione ritmica ed un riffing molto classico che non si discostano molto da quanto sentito finora dalla band.
Il colpo di scena arriva con i brani successivi: in “King for a Day” sono le tastiere a prendere il sopravvento, mettendo in secondo piano la chitarra ed appiattendo il lavoro della batteria, con un ritornello molto easy, rafforzato dalla la voce ruvida della Louhimo. Ancora protagoniste le tastiere di “Beyond the Burning Skyes”, pezzo avvincente con influenze power, con il classico momento “voce, cori e tastiere” a tre quarti che esplode nell’ultimo ritornello. Ma i Battle Beast vogliono sorprenderci, è infatti il singolo “Familiar Hell” a spiazzarci di nuovo col suo stile catchy e sbarazzino, in una provocazione ottatiana a mio avviso più che riuscita.
Attacco di tastiere tipico del connazionale Holopainen per “Lost in Wars”, brano che vanta la partecipazione di Tony Joutsen (Amorphis), in cui non è chiaro se i Battle Beast abbiano cercato di scimmiottare i Nightwish o i Rammstein, buone le intuizioni ma l’impressione è che le influenze e gli elementi non siano stati fusi a dovere nei quattro minuti e mezzo a disposizione.
Cavalcata alla batteria di Pyry Vikki verso il Valhalla per “Bastard Son of Odin”, altro brano power-infuenced in cui fanno capolino le solite tastiere di Janne Björkroth nel ritornello.
Ragionevole l’idea di rallentare il ritmo per una dolce discesa in chiusura, con un epico mid-tempo come “We Will Fight” ad anticipare la danzereccia “Dancing with the Beast” di cui abbiamo parlato in apertura.
Ultimo brano del lotto, la ballata “Far From Heaven”, in cui una caleidoscopica Noora ci mostra il suo lato più dolce e melodico sporcando la voce con grande controllo nella parte finale.
Forse le chiacchiere redazionali ed i vaticini degli utenti sul nostro forum si spingevano troppo in là, ma sembra ormai fuor di dubbio che questi Battle Beast senza Kabanen (che nel frattempo ha fondato i Beast in Black) stiano intraprendendo un nuovo percorso, un cammino che inizia proprio con questo disco. I pilastri fondativi dei Battle Beast restano una grande immediatezza nel sound, con brani icastici che non raggiungono mai i cinque minuti di lunghezza, cercando di attingere da numerose influenze dagli intramontabili anni ottanta in quel complesso e bizzarro melting pot che è la modernità. Il risultato è altalenante, con alcuni pezzi gustosi ed altri più acerbi, alla ricerca di una chiara identità nel songwriting. Il tutto valorizzato dal talento naturale di Noora, una voce capace di rendere bestiale anche la lettura della lista della spesa. Non sarà il miglior disco dei Battle Beast, ma “Bringer of Pain” porta con sé una grande curiosità per le nuove, titillanti provocazioni dei finlandesi. Il John Travolta dentro di noi reclama a gran voce “Dancing with the Beast 2.0”!
Luca “Montsteen” Montini