Recensione: Brothers In Arms

Di Vito Ruta - 12 Agosto 2022 - 8:00
Brothers in Arms
Band: Sunstorm
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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72

Seconda uscita dei Sunstorm dell’era post Joe Lynn Turner, ancora per Frontiers Music, intitolata “Brothers In Arms“.

Il precedente album “Afterlife” del marzo 2021, alla cui recensione rinvio i patiti dello “spetteguless”, segnò l’estromissione, non senza polemiche, del cantante americano, sostituito da Ronnie Romero.
Il singer cileno tra le due uscite marcate Sunstorm ha pubblicato “Raised on Radio”, album di cover, sulla cui copertina è riportata quella di “Afterlife” a sottolineare come il lavoro solista abbia rappresentato una parentesi e che il legame con la band è forte almeno quanto l’attaccamento al gruppo della casa discografica che ne ha decretato la sopravvivenza a dispetto della non dissimulata irritazione di Turner.

La formazione vede succedere la chitarra di Luca Princiotta (Doro, Blaze) a quella di Simone Mularoni, rimanendo per il resto invariata.

Brothers in Arms” segna una virata, fortemente voluta dal produttore e tastierista Alessandro Del Vecchio, verso un sound più AOR, capace di sposare la parte più melodica del rock classico, con Rainbow (in cui Romero ha militato) e Deep Purple in prima fila, a sonorità tipiche dei Foreigner.

L’album si apre con la titletrack “Brothers In Arms”, che rappresenta il manifesto delle coordinate musicali che il gruppo si è dato e, proprio per questo, risulta un po’ ingessata, priva di quel briciolo di spontaneità in più che avrebbe certamente giovato.
Segue la più genuina “Games We Play” che vede i toni caldi della voce di Romero esaltati da una bella linea di chitarra. “I’ll Keep Holding On” e “I Will Remember”, sono due brani in cui lo stile melodico dei Foreigner fa capolino e prende via via piede sino a trionfare incontrastato in “Back My Dreams”, ballad di atmosfera, dall’ottimo solo di chitarra.

Quest’ultima traccia è preceduta in scaletta da “No Turning Back” con la quale, contrapponendo un chorus orecchiabile ad un aggressivo riff portante, i Sunstorm sembrano dimenticare la direzione che si sono posti (o che gli stata imposta?) e riescono a farsi graffianti, senza nulla perdere in melodia.
Con “Taste Of Heaven” si torna in casa Foreigner, mentre il piglio della successiva “Lost In The Shadows Of Love” appare riconducibile al periodo AOR dei Rainbow.
Hold The Night”, invece, offre una serie di suggestioni e rimandi a pezzi e gruppi rock storici, assemblati con un’attitudine spudoratamente ottantiana, che conquista.
Miracle” è un brano gradevole che non rappresenta, però, l’evento al di sopra delle leggi naturali promesso dal titolo.
Chiude l’album “Living Out Of Fear” che, pur rimanendo nei canoni del rock classico melodico, spicca su molti dei brani precedenti.

Ancora una volta i Sunstorm ci offrono belle melodie e buone esecuzioni: i proseliti dell’AOR non mancheranno di apprezzare “Brothers in arms”, tuttavia l’album manca di quel quid capace di fare la differenza.

Personalmente ritengo che frenare le attitudini musicali con scelte prese a tavolino, in ragione di termini di vendita (scusate il bisticcio di parole) non paghi…

 

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