Recensione: Brutal Human Bastard
In un panorama musicale inflazionato da miriadi di proposte similari come quello del metal estremo, per prima cosa, forse, occorre farsi notare per qualcosa che identifichi unicamente la band. Fra i più disparati modi, c’è quello di inventare un nuovo e particolare stile, partendo dalle generiche definizioni a disposizione. A seguire questa linea strategica sono gli austriaci Outrage che, per sintetizzare al massimo il contenuto del loro secondo full-length, “Brutal Human Bastard”, tirano fuori dal cilindro la denominazione di ‘neckbreaking death metal’.
A onore del vero già di per sé il death è un genere tale da rompere il collo, ma con la loro puntualizzazione gli Outrage intendono far capire che nulla è stato messo da parte per dar vita a un sound assolutamente pesante, duro e brutale, nonché tagliente come la lama arrotata di un’ascia o meglio di una ghigliottina. Un sound che spazzi via le teste, appunto, di un auditorio che, com’è lecito attendersi, ami le emozioni forti.
Riff supercompressi e stoppati per segare le ossa, basso che schiaffeggia con mani rivestite da guanti d’acciaio e mid-tempo sulfurei sono i tre ingredienti principali della musica del combo stiriano. Di contorno, un po’ di melodia sparsa un po’ qua un po’ là, uno stentoreo growling a tratteggiare le linee vocali. Il tutto, prodotto davvero in modo brillante allineando “Brutal Human Bastard” alle più moderne manifatture *-core ma mantenendo intatto, allo stesso tempo, quel certo non so che di flavour old school. Non si tratta di una vera e propria influenza quanto di un latente richiamo ai dettami di base che hanno dato il via al death.
Il death dei Nostri, per rimanere in argomento, non è però certamente la sua perfetta manifestazione dell’ortodossia, giacché a volte emergono con decisioni vere e proprie ventate di thrash, groove metal o post-thrash che dir si voglia. Volendo essere più precisi è probabilmente l’interpretazione vocale di Markus Urstöger a far comprendere gli Outrage nell’immenso calderone del death, a questo punto definibile come classico act in perenne bilico sul confine dei territori limitrofi dei due cugini di battaglia (thrash e death). Rigore terminologico a parte, ed è ciò che conta di più, comunque, “Brutal Human Bastard” ha una personalità più che sufficiente per lasciarsi ascoltare con piacere e, magari, farsi notare dagli appassionati di entrambi i generi. La fantastica produzione del platter, difatti, ha una resa dinamica dirompente e una profondità che abbraccia volentieri le frequenze più basse, risultando con ciò sempre trascinante, travolgente quando – piuttosto raramente – si alzano i BPM e, soprattutto, devastante.
Come dimostra facilmente “Cryptic Time”, il cui main-riff farebbe ribaltare un carro armato. Di più, la song potrebbe proprio essere presa come manifesto sonoro dell’ensemble di Birkfeld poiché in essa si trovano, in sequenza, le peculiarità di uno stile che abbraccia “Brutal Human Bastard” nel suo insieme, da “Disorder” a “Deprivation” (lasciando correre la cover di “Negative Creep” dei Nirvana, poco indicativa – come tutti i rifacimenti – della vera anima di un complesso).
Uno stile che porta a pezzi forse poco agili e snelli, centrati su un cliché non molto malleabile come forma e contenuti. Un vizio tutto sommato veniale che, per questo, non inficia più di tanto il notevole valore di una band ricca di esperienza e di carattere. “Brutal Human Bastard” è indicativo di un progetto in cui si prova e si riesce a dire qualcosa di diverso, anche se il risultato appare non del tutto riuscito, forse, a causa della mancanza di un po’ di varietà e vivacità nel songwriting.
Daniele “dani66” D’Adamo
Discutine sul Forum nel topic relativo!