Recensione: Buchonia

Di Daniele Balestrieri - 30 Luglio 2004 - 0:00
Buchonia
Band: Menhir
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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80

Siamo agli inizi del 1100, e con questo Buchonia ci troviamo di fronte all’ennesima riprova che un mero mini CD può essere in grado di frantumare, per livello artistico e profondità, i propri fratelli full length anche di diverse lunghezze. Nel folk – viking metal in particolare, le piccole produzioni hanno avuto un peso enorme nella storia di molte delle band più famose. Lampante è l’esempio degli Einherjer, che con Aurora Borealis e Far Far North hanno raggiunto l’apoteosi di una carriera segnata da alti e bassi, ma imponente è anche l’esempio degli Amon Amarth con Sorrow Throughout the Nine Worlds, degli Amorphis con Black Winter Day, o dei Kampfar con Norse. Dei Menhir, a dire il vero, poco si sa in giro. Nella ristretta cerchia dei seguaci di un certo tipo di metal, la band è tutt’altro che sconosciuta. Ma appena si varcano questi confini di “culto”, l’imbarazzo regna sovrano e ben pochi possono vantare di aver ascoltato uno dei quattro album di questa formazione tedesca, in giro peraltro da ormai dieci anni. Parlare dei Menhir significa parlare di Ziuwari, o di Thuringia. È raro sentir qualcuno nominare Buchonia, eppure è prorio da qui che bisogna partire per scoperire il talento di questo quaretto teutonico.
Lavoro d’esordio della band datato 1998, questo piccolo gioiello di 23 minuti ha dovuto soffrire la mancanza di recensioni, di attenzione e di interesse generico da parte del mondo del metal. Il motivo di tanta ignoranza, in realtà, non è difficile da scoprire: Buchonia è difficilmente catalogabile anche solo come disco metal. Le chitarre elettriche sono scarse, e ben distanti tra loro. La parte ritmica è minima, e il platter in genere manca dei requisiti basilari per renderlo metal dall’inizio alla fine. Se i Menhir avessero prodotto solamente Buchonia, probabilmente non sarebbe nemmeno sensato recensirlo su truemetal, eppure questo non è stato che l’inizio: nel 1999 esce infatti l’ottimo Thuringia, che si scrolla di dosso gli scenari bucolici di Buchonia per darsi al black-folk più ispirato (di chiara matrice Bathoriana), mentre nel 2000 compare Ziuwari, probabilmente il disco più famoso della band, e un ottimo esempio di metal nordico di stampo tedesco.
Alla luce dei lavori seguenti, dotati di una certa originalità che li distingue dal mainstream del genere, è d’uopo tornare indietro per scoprire da dove deriva tanta ispirazione e tanto sentimento a metà tra il pastorale, il guerriero e il romantico.
E la risposta è proprio qui, su Buchonia. Una ispiratissima copertina e un libretto corredato da immagini di grande potenza introducono quattro tracce che vi strapperanno la mente, la memoria e le percezioni e le trascineranno attraverso montagne incappucciate dalla nebbia, assolati campi di grano e dolci pianure, in un mistico viaggio attraverso l’incontaminata Germania settentrionale dell’alto medioevo.
Siamo abbandonati sotto un cielo minaccioso in “Sonnenwende“, mentre i tuoni squarciano l’aria e i corni dei cacciatori annunciano la ritirata.Quindi, un coro misto di uomini e donne, seduti comodamente sotto grandi roccie, inizia a colmare l’aria di ritmi dimenticati, dalla nobiltà di un esercito a riposo, dalla delicatezza del vento della mattina, e dalla passione del rigoglio primaverile. Tamburi, timpani, flauti e tamburelli di eccellente gusto compositivo accompagnano l’ascoltatore nell’atmosfera medievale riccamente ricostruita da strumenti dell’epoca e da quei cori baritonali che ci si aspetterebbe dalle migliori tradizioni militari e pastorali nord-europee.
L’atmosfera in cinque minuti è già completamente stabilita: l’aria brulica di corvi, grilli, frusciare di fronde e sibilare di venti: entra in scena l’introspettiva “Germanenkunst“, aperta da una chitarra acustica accompagnata da un debole violoncello, al quale fa da eco una sporchissima chitarra elettrica e forse lo strumento principe di questo Buchonia: il violino. Ancora cori baritonali maschili e femminili compiono la magia degli Storm, degli Otyg, di Vintersorg, senza pareggiarne il lato puramente metallico: trascinano la memoria altrove, la cibano di tempi dimenticati e antichi, ai quali si può solo accedere con l’immaginazione, se opportunamente stimolata. E questi violini, questa batteria minimale e queste chitarre costruiscono dei veri e propri binari, che con forza e sicurezza portano verso il picco finale di questa piccola opera folk: Buchonia. La title track si apre con un fraseggio estremamente orecchiabile, fatto di flauti e stumenti a corde, che riportano alla mente i passi delicati di una donna lungo una strada di campagna, o al lento passaggio delle nubi nel cielo estivo. Buchonia è introspettiva, una piccola gemma d’ambientazione, da ascoltare in piena meditazione, guidati da istinti riflessivi: ma occhio a non rivangare memorie troppo dolorose, giacché la breve title track lascerà il posto a quello che secondo me è il punto forte del CD: Falkenburgstein. Un cinguettare idilliaco vi getterà nella manlinconia più nobile che avrete mai provato, mentre un violino accompagnato dalla batteria saltella lungo i toni più bassi della scala armonica, creando una fortissima carica emotiva, sorretta a tratti da una chitarra elettrica dichiaratamente sporca e malata, a tratti dalla avvolgente voce della corista, sempre alimentata dal parlato solenne di Heiko Getull. Ventitré minuti fuggiranno dalla vostra vita, e non li rivorrete indietro. Anzi, vorrete di più, e questo fu esattamente cosa si aspettavano i Menhir-fans all’uscita di Thuringia.

Il fatto che la loro uscita successiva non proseguì il trend bucolico di Buchonia provocò non pochi sospiri di delusione. Già, perché un buon metallaro ogni tanto può sentire il desiderio di rifugiarsi nelle frangie più riflessive della musica, senza doversi per questo assoggettare ad altri generi meno consoni o a generi più “carichi” emotivamente, come il Gothic, che necessita di una partecipazione e di un’attitudine che spesso il buon pagan-metaller comune non possiede (e non desidera possedere).

I Menhir parteciparono con Buchonia al “Pagan Triumph Tour” destando particolare interesse nella scena celtico-viking-folk metal. Non troverete molti lavori di questo tipo nell’intera produzione metal europea: la fiamma introspettiva certo si esaurì con questo prezioso MCD, ma un passo importante è stato comunque compiuto: Buchonia appartiene alla storia, e può essere goduto (nonstante la difficoltà di reperimento) da chiunque voglia gettarsi per una ventina di minuti nella frangia più mistica, nobile, solenne e introspettiva del metal. Un rifugio di cui, ogni tanto, fa sempre comodo possedere la chiave.

TRACKLIST:

1 – Sonnenwende
2 – Germanenkunst
3 – Buchonia
4 – Falkenburgstein

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