Recensione: Built to Destroy

Di Abbadon - 23 Dicembre 2004 - 0:00
Built to Destroy
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Anno: 1983
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83

Quando parlo di Michael Schenker riferendomi al suo gruppo solista, ho sempre evidenziato due cose : i notevoli cambi di line-up che il biondo chitarrista ha sempre effettuato da un disco all’altro, e le variazioni di stile figlie e dei cambi stessi e della voglia di eclettismo ed evoluzione che ha sempre girato nella testa dell’axeman. Da questa instabilità nacquero, nel triennio 80/81/82, tre gemme quali “The Michael Schenker Group”, “MSG” e “Assault Attack”, tutti piuttosto diversi fra di loro salvo una comune matrice che li identificava. Nell’83 però si va oltre. L’anno, che sembrava una volta tanto tranquillo, ebbe un drastico imprevisto in quel di Sheffield, dove la band stava tenendo le “prove generali” per l’imminente Reading Festival. Infatti un ubriaco Graham Bonnet riuscì a rovinare tutto venendo alle mani, dal vivo, col chitarrista Steve Casey, che venne gettato oltre gli amplificatori, fra la folla. Un gesto così sconsiderato andò ben oltre la pazienza di Michael, che non ci mise molto a defenestrare il “buon” Bonnet in mezzo al tour. A favore di chi? Con lo stupore di tutti del figliol prodigo Bardens, mossa inattesa quanto benvoluta dal pubblico, che sempre aveva amato il non splendido (vocalmente) frontman. Dopo il già citato Reading e poco altro, una band finalmente abbastanza stabile (a parte il cambio di vocalist nulla di nuovo, visto che il tastierista Nye era già stato arruolato per la tournee e Mckenna e Glen vengono confermati) si chiude in studio per il quarto platter sotto il monicker MSG. E viene fuori l’inaspettato, ovvero “Built to Destroy”. Prodotto che nulla c’entra coi suoi predecessori, Built strizza clamorosamente l’occhio a quanto stava iniziando ad andare di moda negli Stati Uniti, ovvero all’elettronica. Pesantissima infatti è l’importanza che viene data alle keyboards in buona parte delle nove tracce, con risultati a mio modesto parere molto buoni. Se infatti la prima porzione dell’album (diciamo fino a “Captain Nemo” inclusa) è, anche vista dopo venti e passa anni e confrontata con lavori successivi, semplicemente un capolavoro del genere, la seconda metà (quella più classicheggiante, a parte la closer), pur rimanendo buona si perde un po’, facendo pagare dazio a un complesso che altrimenti sarebbe stato da brividi. Tecnicamente non c’è più molto da dire, o perché già detto o perché superfluo (basta leggere le altre recensioni dei MSG per capire a che livello si esprimono i musicisti, dal solito, eccezionale, anche se a tratti in ombra Michael, ai solidi Bardens McKenna e Glen), resta solo da vedere la prova dietro le tastiere di Andy Nye, che seppur presente nel tour di “Assault Attack” era nuovo in studio. Beh il suo contributo è splendido, fluente, preciso e fresco, fatto che dimostra che ancora una volta lo “zio Michele” ci ha visto giusto dal punto di vista del talento (fra l’altro Andy si rivelerà anche un ottimo compositore nonchè secondo chitarrista, probabilmente il migliore dai tempi di Raymond negli Ufo). Partiamo quindi nell’esplorare l’album che, come detto, ha i suoi picchi proprio nella sua prima parte. L’opener, vera presentazione per l’album, è la clamorosa “Rock my nights away”. Con tutta probabilità il miglior pezzo dell’intero platter (e curiosamente una delle due non composte da Schenker, bensì dal duo Nye/Bardens, che qui dimostrano in pieno il loro talento dietro al pentagramma), Rock si apre con una distorsione e col duo portante (indovinate quale può essere?), per poi lasciare subito spazio alle frizzantissime tastiere, vere e proprie mattatrici della storia. Da cantare a squarciagola il ritornello, clamorosi l’assolo e perfetta la fusione di tutti i pezzi del puzzle, anche grazie al sapiente lavoro di mixing compiuto da Louis Austin. Non si può veramente chiedere di più a una song, quindi meglio passare alla seconda, grande, “I’m Gonna Make you mine”. Traccia estremamente ritmata, anch’essa dominata dalle keyboards e dai synth, I’m gonna si distingue dalla precedente per un minor brio ma per una maggiore compattezza complessiva. Molto carino il coro del refrain, degna ciliegina di un grande pezzo, che può permettersi addirittura una 6 corde tranquilla, solo un po’ più vivace nel solo. Prosegue il trionfo dell’ “artificiale” in “The Dogs of War”, artificiale che però viene questa volta asservito agli strumenti canonici, soprattutto alla batteria, che senza strafare comanda su tutto. Bridge intrigante, ritornello di gran classe e una guitar che spazia con estrema naturalezza  dal ruvido al cristallino sono gli ingredienti vincenti del componimento, che si fregia anche di uno dei migliori assoli qui presenti. Dolcissimo l’attacco di “Systems Failing”, dolcezza che trae in inganno, visto che a breve veniamo presi dal brio e dal vecchio stile, che non è così classico solo per quelle keyboards piuttosto coinvolgenti e ridondanti, sullo sfondo. Devastante Schenker, una vera mareggiata di classe e sfrontatezza, così come è sfrontato su una delle sue più celebri strumentali, quella bellissima “Captain Nemo” che verrà spessissimo riproposta dal vivo. L’esercizio prevede di tutto, nel puro segno della tecnica, del talento e delle potenzialità della Flying V, e lascia semplicemente elettrizzati lungo tutto il suo incedere. Scale, cambi di tempo, velocità, lentezza, per oltre 5 minuti da applausi a scena aperta. Peccato che ora (col cambio di lato per i possessori dell’ LP) inizi la discesa qualitativa del disco, che pur rimanendo buonissimo, scende di almeno un gradino rispetto a un “side A” fantastico (come detto il lato B è quello più normale, coi synth usati solo se necessario, sarà un caso che non prenda così tanto?). Si inizia con l’aggressivo riff di “Still Love that little devil”, traccia estremamente classicheggiante ma anche piuttosto scarna . Le tastiere sono all’sso rispetto a prima, peccato perchè oltre al già citato riff non ci sia molto per gioire. Tutto nella media, il che farebbe dire “bene!”, se non fosse che dopo un po’ di ascolti si inizia a skippare la traccia. Un miglioramento si ha con la pomposa e ben strutturata “Red Sky”, composta da tutti i membri della band e davvero tutt’altro che scarna. Molto bello il riff, buono il basso (perfettamente udibile e potente), decisamente meno il cantato, che si discosta molto dal resto, così come un ritornello che per nulla ricorda quelli esaltanti sentiti sino a poco fa. Carino il primo solo, molto decadente, ma anch’esso paga dazio rispetto a quelli strabordanti di prima, eccellente invece il secondo, decisamente classico. Non mi piace troppo nemmeno “Time Waits (For no One)” che si permette addirittura l’uso di una voce distorta e robotizzata. Sinceramente avrei preferito un Bardens al naturale, pace, se però teniamo conto dell’ottimo basso, del ritorno delle keyboards (un po’ dimenticate da Nemo in poi, io non sono uno che le ama alla follia, ma se si è partiti con l’intento di usarle, tanto vale usarle) e delle ottime strofe (molto più belle del refrain) ne viene fuori in definitiva una buona track (che sarebbe però stata molto migliore con dei ritocchi). Eccoci, infine, alla closer, quella “Walk the Stage” che sarà in America e in tutte le compilations chiamata “Rock Will never Die”. Brano carico di pathos, a me questo “a tratti lento a tratti midtempo” piace davvero molto, anche perchè riporta in auge un prodotto che aveva onestamente perso parecchio mordente con le 3 song precedenti. Grande giro portante, buona interpretazione vocale e grandi melodie chiudono degnamente un ottimo disco. Non è certo il lavoro che amo di più del mio idolo personale (quale Michael è), cosa che invece sicuramente sarà (o quasi) per gli amanti dei vari Turbo, 1984 eccetera. Peccato per quell’abbassamento già citato e ripetuto, sennò sarebbe stato l’ennesimo capolavoro (perchè no, anche il migliore).
 Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Rock my nights away
2) I’m gonna make you mine
3) The dogs of war
4) Systemn Failing
5) Captain Nemo
6) Still love that little devil
7) Red Sky
8) Time Waits (For no One)
9) Walk the Stage (Rock Will never Die)

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MSG MSG
MSG
Genere:
Anno: 1981
85