Recensione: Buon Vecchio Charlie

Di Emanuele Calderone - 17 Aprile 2006 - 0:00
Buon Vecchio Charlie
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 1999
Nazione:
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85

Persona particolare Richard Benson, chitarrista romano che molto probabilmente passerà alla storia come uno dei musicisti più derisi di sempre, anche se non tutti sanno che quando egli afferma di essere un grandissimo virtuoso della sei corde non mente, o almeno in parte quest’ affermazione è vera; se oggi noi italiani possiamo dire che forse anche nel Bel Paese è esistita buona musica, possiamo affermarlo anche grazie al piccolo contributo della prima band di Richard Benson: i Buon Vecchio Charlie, band della quale parleremo in questa recensione.

Il gruppo, che vedeva tra i suoi componenti Richard Benson alla chitarra ed alla voce, Luigi Calabrò anch’egli alla chitarra e voce, Sandro Cesaroni al sax ed al flauto, Sandro Centofanti alle tastiere, Paolo Damiani al basso e non ultimo Rino Sangiorgio alla batteria, diede vita ad un pregevole disco di progressive rock con numerosi richiami al folk di derivazione Jethro Tull, grazie ad un massiccio utilizzo del flauto, ma soprattutto grazie alla capacità della formazione di costruire atmosfere dal vago sapore medievale. L’ album, composto da sole cinque tracce, ci mostra quanta capacità tecnico/compositiva avessero i membri della band, presentandosi ricco e complesso nelle sue strutture, ma passiamo alla descrizione dei brani: un’intro di flauto ci catapulta subito nella prima canzone “Venite Giù Al Fiume”, traccia che ben rappresenta il percorso musicale di tutto il disco: la ricchezza di cambi di tempo, una sezione ritmica invidiabile e i vari solo di chitarra e basso non hanno nulla da invidiare a quelli eseguiti dai gruppi maggiori. A far da cornice alla splendida musica in bilico tra rock progressivo e pop di classe, troviamo un testo veramente da incorniciare, un vero e proprio racconto condotto magistralmente dalla raffinata voce di Bensoni (“Benson”, per chi non lo sapesse, è un nome d’ arte). Eccellente la parte strumentale, che fra l’altro rappresenta la maggior parte del brano. Si passa così ad un episodio molto più calmo e vicino al prog italiano di derivazione PFM: “Evviva La Contea Di Lane”, brano introdotto da un bellissimo e delicato arpeggio di chitarra, nel quale si innesta bene la melodica voce di Benson. Il flauto e le tastiere risultano essere questa volta gli strumenti cardine della canzone, conducendo la base melodica per quasi tutti i sei minuti ed oltre di durata. Tornado al tema vocale questa volta i vocalizzi (pur non essendo assolutamente sgradevoli), risultano eccessivamente vicini alla musica pop italiana. Arriviamo dunque alla suite dell’ album: ben 15 minuti di musica quasi tutta strumentale, questo è quanto presente in “All’Uomo Che Raccoglie Cartoni”, lunghissimo nonché affascinante brano di prog/folk, dove la band dà sfoggio di tutta la sua capacità tecnica. La sezione ritmica e quella melodica risultano essere veramente fantastiche, grazie ad un perfetto equilibrio di suoni, dove troviamo un ulteriore approfondimento del sax e del basso. Buoni anche testo e voce. Delicate note di piano aprono quella che può essere considerata la canzone più pop dell’ album: “Rosa”, traccia triste che racconta dell’allontanamento di una donna, Rosa, e di quanto questa lontananza possa far male all’uomo (interpretato da Calabrò). La canzone scorre via liscia, rimandandoci a suoni appartenuti e già profondamente sfruttati da band come la PFM. Il disco termina con la medievaleggiante “Il Guardiano Della Valle”, traccia di breve durata, quasi allegra nei suoi toni, con un testo bellissimo.

Va detto che in principio il disco era composto non da cinque tracce, bensì solo da tre, infatti le due canzoni finali (cover di due canzoni di Beppe Palomba contenute nel disco “A Rosa, a Giovanna e alle altre”) furono introdotte nell’album solo quando la giapponese Akarma nel 1999 decise di pubblicare il disco. Il disco termina così, lasciando all’ascoltatore una bellissima sensazione di allegria e di appagamento musicale; un vero peccato che la band non abbia più continuato il proprio discorso musicale, anche a causa di una mancata attenzione da parte dei discografici dell’epoca dal momento che, nonostante un vago interessamento e la qualità generale del disco, non vide mai luce prima del 1990 (la Akarma fu la seconda a pubblicarlo).

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