Recensione: Burn
Il 1972 non fu sicuramente un anno felice per i Deep Purple: “Who do we think we are” non aveva riscontrato i dati di vendita sperati, e i conflitti tra Ritchie Blackmore e Ian Gillan stavano provocando una irreparabile spaccatura all’interno del gruppo. Ma il nostro “man in black” riuscì a risolvere per il meglio una difficile situazione, reclutando a insaputa del succitato Gillan e del bassista Roger Glover il bassista/cantante Glenn Hughes e il vocalist David Coverdale.
“Burn” scatenò un putiferio: da un lato, i malcapitati ex membri si strapparono i capelli dalla rabbia, dall’altro il disco riportò la band ai vertici delle classifiche mondiali.
Probabilmente questo disco rappresenta al meglio i Deep Purple del periodo settantiano: la tile-track, opener dell’album, contiene uno dei riff più famosi del complesso britannico, il quale è secondo solo a “Smoke on the water”. Il tappeto ritmico di Ian Paice, la calda voce di David Coverdale e le sfuriate barocche del duo Blackmore-Lord caratterizzano questo bellissimo pezzo. “Sail away” e “Mistreated” (quest’ultima cantata solamente da Coverdale) rappresentano l’anima blues del disco, sprigionata da un sempre ispiratissimo Blackmore e da un Coverdale in stato di grazia.
“You fool no one” e “A 200” fanno parte invece del lato prettamente sperimentale: la prima è un “salsa” spinto all’eccesso, la seconda un delirio strumentale più compiaciuto e fine a se stesso che realmente ispirato.
I Purple, purtroppo, non riusciranno in futuro a sfiorare picchi così elevati.
Tracklist:
1. Burn
2. Might Just Take Your Life
3. Lay Down, Stay Down
4. Sail Away
5. You Fool No One
6. What’s Goin’ on Here
7. Mistreated
8. “A” 200