Recensione: Burn The Beauty
Chissà se vi siete mai posti la seguente domanda: “se la Luna avesse degli abitanti, come si chiamerebbero”?
Non certo “lunatici”, visto che il termine risulta essere già impegnato da taluni personaggi capricciosi… ma allora come? Ecco che il nostro dizionario, ricco di parole desuete e spesso misconosciute, ci viene in soccorso, stupendo per la presenza di un termine infrequente nel nostro lessico: “selenita”, ovvero un possibile abitante della Luna.
Ma buffamente non siamo gli unici terrestri a porci il problema, visto che ne esiste anche un corrispettivo inglese: “Lunarian”, appunto.
Se questo termine un po’ (Final) fantasy evoca argentee distese rocciose, Lunarian è anche il nome dell’ ultimo progetto confezionato a tavolino dalla Frontiers Music, che avvolge attorno alla cantante Ailyn Giménez Garcia (Sirenia, Heart Healer, Chariot Awaits), la pellicola da imballaggio di una formazione già vista recentemente: Aldo Lonobile (chitarra), Michele Sanna (batteria) e Antonio Agate (tastiere) – reduci dal format Erinyes – ed aggiunge un fiocchetto alla confezione: Mattia Gosetti (basso).
Puntare sul cavallo vincente non sempre premia e anche i migliori a volte – nonostante la bontà dell’ operato – non si classificano in finale.
Il lavoro del team si rende evidente nella parte strumentale, ben arrangiata e orchestrata a dovere, con una menzione particolare alle onnipresenti tastiere di Agate, che fanno una reale differenza, donando un po’ di movimento ad un album che altrimenti risulterebbe piatto.
Ma se la volontà iniziale di questo “Burn The Beauty” era quella di fondere insieme l’esperienza maturata da Ailyn nei Chariot Awaits e nei Sirenia par dare vita a uno stile canoro heavy & symphonic, “Don’t Wait Until I’m Gone” ci trascina in una galleria di specchi, dove la vocalist sembra vagare in preda allo sconforto. Fin dall’ esordio è lampante la fin-troppo-evidente componente Within Temptation, ma seppur Ailyn abbia una buona estensione vocale, non raggiunge i picchi da soprano di Sharon Janny den Adel. Direi che piuttosto è un ottimo mezzo-soprano come potrebbe essere Amy Lee degli Evanescence, ed in effetti il risultato all’ ascolto è un gothic rock commerciale più che un symphonic metal spinto all’ estremo (vedere alla voce “Endless Sleep”). Se nella lirica non spicca, riesce bene in tracce come “Invincible”, che ha questo vocal trill alla “Xena principessa guerriera” e un buon crescendo, ma rimane “poppeggiante”. Il risultato è che non riusce mai a bucare, creando insoddisfazione di fondo.
“Dream Catcher“, “Never Ending Circle” e “Bleeding out” sembrano venute fuori direttamente delle fabbriche dei primi Nightwish, Sirenia e Tristania.
Ci si aspetta sempre quel passetto in più che non arriva fino alla conclusione. Davvero un “Never Ending Circle” che ti fa venire voglia di “Sacrifice”.