Recensione: Burning Earth
Seconda fatica in studio per i Firewind che ad un anno di distanza dal loro debutto si ripropongono al pubblico con questo Burning Earth. La band è costruita intorno a Gus G. (Dream Evil, Mystic Prophecy e Nightrage) talentuoso quanto giovane chitarrista di stampo neoclassico, recentemente eletto dalla rivista giapponese BURNNN!!! come miglior chitarrista dell’anno. Alle vocals troviamo l’esperto Stephen Fredrick (ex Kenziner), mentre Petros Christo (ex-Breaking Silence) e Stian Kristoffersen (Pagan’s Mind), rispettivamente al basso e alla batteria, vanno a formare la rinnovata sezione ritmica. Con queste premesse è facile aspettarsi un disco che ripropone il solito power neoclassico che fa il verso a Malmsteen e Stratovarius. Niente di più sbagliato. Il lavoro, prodotto da David T. Chastain (che si contende la palma di “Prezemolino” con Piet Silke) e mixato da Fredrik Nordstrom (mastermind dei Dream Evil), presenta invece un riuscito mix di power di stampo americano (con le consuete influenze thrash) e heavy metal classico di ottantiana memoria, il tutto completato dalla tipica melodia del metal scandinavo. Nel complesso le canzoni risultano tutte ben strutturate ed interessanti, disimpegnandosi bene tra ritmiche aggressive e di impatto, assolo ora melodici ora taglienti e cori sempre epici e facilmente assimilabili. Ne sono un esempio le veloci Steal Them Blind, I Am The Anger e Waiting Still o le più lente ed epiche Immortal Lives Young e You Have Survived che, tra un richiamo (abbastanza velato per la verità) ai Manowar ed uno agli Iron Maiden, tengono sempre alta l’attenzione dell’ascoltatore. Una parola in più invece la merita la title track che con il suo incedere spedito e roccioso esplode in un anthemico ritornello degno dei Running Wild, merito anche dell’ottima prova di Fredrick dietro al microfono e della sua voce simile, a tratti, a quella di Rock ‘n’ Rolf. La buona vena di Gus. G si nota lungo tutto il lavoro e, come nella migliore tradizione del “guitar hero”, si esalta nella strumentale The Fire & The Fury: ritmiche thrash vanno a braccetto con assoli neoclassici fino a quando il tiro non cambia completamente per rallentare e lasciare spazio alla melodia e alle atmosfere da power ballad. Melodia che viene tutta fuori nel riuscito mid-tempo di Brother’s Keeper, brano che con un arrangiamento diverso potrebbe essere incluso in un disco AOR, e nella conclusiva The Longest Day, sentita ballad che fa riflettere sull’ingiustizia delle guerre.
Le potenzialità ci sono e sono anche ottime, ora ai Firewind non resta che scrollarsi di dosso l’etichetta di band costruita sulla figura di Gus G. e di perseguire la via della personalità che si intravede, a più riprese, lungo tutte le tracce di questo lavoro.