Recensione: Burning Seas
La quantità di band che i Pantera hanno influenzato nei loro 15 anni di attività è veramente notevole e si può parlare a ben ragione di band seminale. I Burning Seas, giovane gruppo italiano, tenta di incarnare in tutto e per tutto la band visceralmente votata alla concezione thrash metal del gruppo di Anselmo con più qualche puntatina da Meshuggah in alcune ritmiche: vocals efferate, chitarre affilate e ritmiche serrate. Benchè essenzialmente i classici stilemi siano riproposti senza troppe divagazioni personali o particolarmente originali, il risultato è fortemente penalizzato da una produzione piuttosto inconsistente: scompaiono quasi totalmente le frequenze basse di chitarra e basso, lasciando lo spettro sonoro piuttosto intangibile. Bene invece la batteria che si da davvero un bel pò da fare per mantenere vivo l’interesse ritmico. Le vocals di Daniele sono piuttosto altalenanti: grande carica quando c’è da grattare, meno convincenti quando si lancia in bridge melodici (“Eternal Rest” e “Burning Hope”).
Le prime tre canzoni sono coerentemente basate su allungamenti repentini di tempo e l’andatura è dettata dalla sicurezza che offrono la batteria di Andrea e il riffing pesantemente Darreliano di Marco.
Nella quarta traccia “Regret” che chiude il disco, si tenta di insistere un pò di più sulla melodia nella parte iniziale per poi far sfoggio di aggressività assai più selvaggia rispetto a quella proposta nelle altre traccie.
Le capacità tecniche senza dubbio ci sono, andrebbero asservite a composizioni più originali o quantomeno indipendenti da sonorità ormai piuttosto abusate. Certo è che in vista di una prossima release la scelta per la produzione dovrà cadere su qualcosa di più omogeneo e saldo, per non sminuire quanto di buono può proporre il gruppo.
Francesco “madcap” Vitale