Recensione: Burst Into The Quiet
Ormai è stato detto tutto e il contrario di tutto del revival thrash di questi ultimi anni. Quel che è certo è che, ovunque stia la verità, la sentenza ultima spetterà necessariamente ai posteri. Possiamo, però, cercare di valutare di volta in volta con occhio critico le singole uscite, cercando di discernere la bontà di un lavoro a prescindere da dissertazioni più generali sulla scena, che potrebbero sviarci da un giudizio sereno. Concretamente, tra giovani “band-prodigio” forse sopravvalutate che sfornano un primo album buono e poi non riescono a compiere il definitivo salto di qualità per emergere a partire dalle uscite seguenti e gruppi che continuano, album dopo album, a ripetere pedissequamente e senza personalità le coordinate stilistiche tracciate ormai trent’anni fa dai grandi del genere, il rischio è quello di non riuscire più a distinguere dalla massa coloro che effettivamente meriterebbero attenzione.
Tanto più difficile è – storicamente – riuscire ad emergere e farsi notare a livello internazionale (non solo per i giovani thrasher) se si proviene dalla penisola italica. Anche se qualcosa comincia a muoversi e sempre più di frequente vediamo gruppi nostrani aggregarsi a tournée europee di band blasonate o timbrare il cartellino in affermati festival estivi. Merito senz’altro di una scena che ha saputo rigenerarsi proponendo una nuova generazione di thrasher che è andata ad affiancarsi ai nomi storici. National Suicide, Ultra-Violence, Injury e MadMaze sono solo alcuni dei nomi caldi che il Bel Paese può annoverare tra le proprie fila, ai quali si aggiungono prepotentemente anche gli emiliani Game Over.
Venuti alla ribalta con il discreto “For Humanity” del 2012, si ripresentano in questo 2014 con il nuovo “Burst Into The Quiet” forti del contratto siglato con Scarlet Records, etichetta in grado di garantire al gruppo maggiore visibilità anche all’estero.
Il secondo è sempre o quasi un album critico per qualsiasi band, specie quando il debutto è stato apprezzato praticamente all’unanimità da critica e fan. Ripetersi (senza essere ripetitivi) non è facile e ancora più difficile è riuscire a superare se stessi, dare quel qualcosa in più. Inevitabilmente si creano delle aspettative elevate che finiscono per essere un’arma a doppio taglio. Nel caso dei Game Over possiamo tranquillamente dire che ci siano riusciti! Di “Burst Into The Quiet”, infatti, colpiscono subito la bella copertina (di tutt’altra caratura rispetto alla precedente cover) e la qualità dei suoni, ma è l’aspetto compositivo a rincuorare e convincere maggiormente.
La partenza è affidata a “Masters Of Control”, una traccia che fa dell’immediatezza la propria forza, grazie a graffianti riff di matrice speed metal e un ritornello che si stampa immediatamente in testa. Ottimo il solo di chitarra che irrompe in maniera improvvisa donando ancora più mordente al brano. L’album poi prosegui a ritmi più sostenuti su binari tipicamente thrash con “Seven Doors To Hell” e “The Eyes (Of The Mad Gardner)”, anche se all’interno dei due brani troviamo ancora elementi speed di gruppi come Agent Steel o Savage Grace e chitarre “fischianti” in stile Judas Priest. È un tipico ritornello mutuato dall’hardcore newyorkese (intonando lo spelling di un acronimo), tanto caro al thrash di ieri e di oggi, a caratterizzare “C.H.U.C.K.”. Brano che ci riporta alla mente, non a caso, le prime produzioni degli Anthrax (ma guai a parlare di plagio).
Si passa poi a “No More”, un brano su cui i Nostri puntano molto per loro stessa ammissione. Oltre che da un imponente inizio, la canzone è caratterizzata da validi segmenti strumentali dove a farla da padrona sono le due asce, tra riff al vetriolo e scambi di assoli. Meno di trenta secondi per la divertente “Metropolis Pt.3” ed è il turno di uno dei brani clou dell’album: “Trapped Inside Your Mind”. Aperto da un’azzeccata introduzione quasi onirica, in grado di riportare alla mente alcune soluzioni dei Cyclone Temple (vedi “Born To Lose”, per esempio), il brano pare incarnare l’immagine di copertina, assicurando un risveglio da incubo grazie alle poderose sferzate di chitarra e si imprime in mente, “intrappolandola”, per merito di una melodia accattivante ed i soliti soli avvincenti. La chiusura è affidata a “Nuke ‘Em High”, per la quale si potrebbe ripetere quanto detto in occasione di “C.H.U.C.K.”, anche se in questo caso a caratterizzare il refrain è il più classico – e un po’ scontato – corettone ed infine la veloce title-track, che non mancherà di regalare attimi di pogo sfrenato dal vivo.
Insomma, passato un po’ l’effetto sorpresa dal debutto “For Humanity”, i ferraresi Game Over si confermano tra le migliori realtà del panorama tricolore, grazie ad un album solido e curato come “Burst Into The Quiet”, composto da poche ma buone canzoni (il giusto numero, per chi vi scrive, rispetto agli standard attuali). Sono davvero poche le critiche che si possono muovere loro, anche se per il futuro l’augurio è che il gruppo continui a lavorare sodo sulla differenziazione delle singole tracce, oltre che sulla personalità. Che osi ancora di più senza timore di sconfinare anche in altri generi contigui, come fatto per esempio in occasione dell’introduzione di “Trapped Inside Your Mind” (una soluzione che poteva essere sviluppata anche maggiormente all’interno della traccia stessa).
Orso “Orso80” Comellini