Recensione: Burzum

Di Ivo Dell'Orso - 19 Luglio 2006 - 0:00
Burzum
Band: Burzum
Etichetta:
Genere:
Anno: 1992
Nazione:
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75

Chiamatelo Burzum, Conte Grishnackh, Varg Vikernes. Oppure pazzo, esaltato o assassino. Chiamatelo come vi pare ma tutto ciò che importa (a chi recensisce questo disco) è che musicalmente questo ragazzo (19 anni!) è stato un fenomeno, secondo chi scrive, incredibile ed irripetibile.
Sorvoliamo sulle logiche e inevitabili condanne per i suoi atti di natura criminale e concentriamoci per un attimo solo sulla sua musica. Questo che ho tra le mani è il suo primo album ufficiale, il debutto con l’etichetta di Euronymous. Praticamente è un insieme delle canzoni già note ai possessori dei primi due demo strumentali (autoprodotti) usciti nel 1991 e nel 1992 a titolo Burzum.

Le canzoni che compongono questo disco si caratterizzano per l’alternanza tra parti veloci e parti più lente (quasi sabbathiane) ma soprattutto per la voce davvero lancinante di questo ragazzino. Le sue urla sono qualcosa di diverso da quelle dei “suoi colleghi”, sono davvero terribili e strazianti. Riescono a trasmetterti malessere se ascolti attentamente ciò che grida, come se stesse ardendo al rogo; in questo senso ha sicuramente fondato uno stile canoro.
“Feeble Screams from Forests Unknown” ha il compito di aprire il disco ed è subito capolavoro: una centrifuga di sette minuti e mezzo in cui il Conte prende il concetto di canzone, lo fa in pezzi che brucia, e ne semina i resti per miglia e miglia. È veramente difficile descrivere parte per parte questa canzone: è fuori dal comune, è magia che va ascoltata tantissime volte per essere compresa a fondo. I ritmi della batteria di Varg sono qualcosa di stupefacente: è uno dei pochissimi batteristi in ambito black a possedere una sensibilità superiore, che va oltre il semplice pestaggio dei tamburi.
La seconda traccia di quest’album, “Ea, Lord of the Depths”, ha una struttura più regolare rispetto alle altre: inizio tirato tutto di batteria, ma quando entra il riff il ritmo rallenta e c’è posto solo per la doppia cassa del Conte; poi durante il cantato il ritmo ritorna incalzante sotto un tappeto di distorsioni chitarristiche. Il Conte dà anche un saggio della sua tecnica solistica poco dopo il quarto minuto e riesce con poco ad impreziosire molto questa canzone.
“Spell of Destruction” è la canzone più lenta di tutto il disco: rimane, per tutti i suoi oltre cinque minuti di durata, sugli stessi standard ritmici con qualche variazione (un po’ di doppia cassa, oppure malinconiche linee di chitarra senza accompagnamento e disperate urla solitarie)
“Channelling the Power of Souls into a New God” ha il compito di chiudere virtualmente il “side-hate”. La canzone è un brano strumentale di tastiera privo di fronzoli e altri stucchevoli ornamenti, solo una manciata di tristi accordi messi ben in successione dal punto di vista melodico. Da notare che a fine canzone arriva un sussurrato ma significativo “worship me”.
Con “War” inizia il “side-winter” di questo album: la canzone è un classico di Burzum e molta gente la conosce pur non possedendo il disco in questione. Varg presenta la canzone e parte un riff circolare che rimarrà dominante per tutta la canzone.
“The Crying Orc” è un altro episodio strumentale solo per chitarra, molto breve, che mi ricorda gli intermezzi strumentali dei Black Sabbath di “Master of Reality”.
Per “A Lost Forgotten Sad Spirit” vale lo stesso discorso fatto per la prima traccia: pezzo molto lungo che alterna varie atmosfere difficilmente descrivibili per colpa del loro numero elevato. Burzum nei pezzi più lunghi si diverte a cesellare ritmi e melodie per trasportare l’ascoltatore su altri pianeti.
Forse gli stessi pianeti o stelle che Varg dice di raggiungere nella successiva “My Journey to the Stars”; altro capolavoro che nella sua lunga durata, si propone di farvi da colonna sonora per i vostri trip stellari. Questa, forse anche più di “Feeble Screams from Forests Unknown”, è la mia canzone preferita del disco: ho gradito in modo particolare la parte di chitarra che si trova al minuto cinque. Tante parti per un capolavoro degno di rientrare tra i classici di Burzum.
La conclusiva “Dungeons of Darkness” è la canzone strumentale più lunga del disco e non si evidenzia per qualcosa in particolare: è un lento crescendo di rumori sinistri e inquietanti che chiudono nel modo giusto un album di debutto eccezionale.

In conclusione ci troviamo di fronte a un disco davvero valido, un concentrato di potenza e rabbia che farebbe impallidire molti gruppetti arrabbiati di oggi; ed inoltre è uno dei capisaldi del black norvegese che ha fatto Storia.
Il cammino del grande Varg Vikernes è iniziato qui; tutti coloro che ne vogliano riscoprire il lato più vero e devastante devono avere questo gioiellino.

Tracklist:

Side Hate
01 Feeble Screams from Forests Unknown (7:28)
02 Ea, Lord of the Depths (4:52)
03 Spell of Destruction (5:39)
04 Channelling the Power of Souls into a New God (3:27)

Side Winter
05 War (2:30)
06 The Crying Orc (0:58)
07 A Lost Forgotten Sad Spirit (9:11)
08 My Journey to the Stars (8:10)
09 Dungeons of Darkness (4:50)

Ivano Dell’Orco

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