Recensione: Butcher the Weak [Reissue]
Uccidiamo il vitello grasso, i Devourment sono tornati! I padrini del
guttural si lasciano alle spalle sei anni di problemi e vicissitudini varie e
ritornano a dettare legge in un mondo da loro stessi inaugurato con quel
Molesting
the Decapitated che ha aperto la strada a praticamente tutto il brutal
underground che è seguito dopo.
Pochissime formazioni possono vantare di aver condizionato in modo così
profondo il corso di un genere dopo la pubblicazione di un solo album, di aver
segnato nel tempo una sorta di spartiacque che definisca con chiarezza quello
che è avvenuto prima e ciò che è venuto dopo. Un salto di sei anni che sembra
non essere mai avvenuto alla luce di questo secondo capitolo dei texani; il
tempo si è fermato allora, ed è ripreso a scorrere proprio da quel momento in
cui la band non ha potuto raccogliere i frutti del proprio lavoro. Per questo
Butcher the Weak è un’apologia a quello che i Devourment hanno
rappresentato, un tributo rivolto a se stessi, come a ribadire la volontà di
ricominciare proprio dove si erano bruscamente interrotti, senza aver bisogno di
modificare nulla, con la consapevolezza di spazzare via nuovamente tutta la
concorrenza.
Sono cambiate molte cose dallo storico Molesting the Decapitated, ma
lo stile Devourment non ha perso né vigore né identità. Cambiano i
musicisti, cambiano i ruoli all’interno della line-up, cambiano i tempi,
cambiano gli ascoltatori, ma il risultato è sempre quello: devastazione brutale,
ignorante, e senza freni. A questo punto mi chiedo se abbia importanza spendere
troppe parole per descrivere Butcher the Weak, semplicemente un
disco alla Devourment, un disco dei Devourment. Serve a poco dire
che le chitarre sono sempre ipersature, alternate tra gli slam tipici dei texani
a bordate sferrate alla velocità della luce, la batteria è come sempre
essenziale e inesorabile, che il confortante grugnito di Mike Majewski,
succeduto all’immortale e insuperabile Ruben Rosas (ora alla chitarra), è
lì pronto ad accoglierci a braccia aperte, che le solite tematiche sono
ovviamente perverse. Tutte cose che i fan sapevano gia dal principio e che non
potevano essere diversamente. Quello che per la stragrande maggioranza delle
formazioni brutal si appellerebbe come mancanza di idee e sterile immobilismo
stilistico, per i Devourment si chiama affermazione della propria
identità. E la differenza tra le due cose dovrebbe essere lampante almeno alle
orecchie degli appassionati, a tutti gli altri la libertà di giudicare come
sempre una formazione che volente o nolente ha fatto la storia, cosa che non
proprio tutti possono vantare.
La versione di Butcher the Weak presa in esame per questa
recensione (e che vi consiglio caldamente) è stata completamente ri-registrata,
mixata e rimasterizzata da capo, dopo la prima edizione uscita nel 2005,
conferendo al lavoro un suono nettamente più potente e corrosivo. I
Devourment sono tornati, e non hanno alcuna intenzione di fermarsi (come
accennatomi in sede d’intervista da Mike Majewski). Non avrà lo stesso
peso specifico di Molesting the Decapitated, ma se siete amanti del
marciume più genuino e incontaminato, Butcher the Weak è il disco
che aspettavate da tempo. Non badate neanche al voto che vedete a fondo pagina,
i Devourment o si amano o si odiano.
Stefano Risso
Tracklist: