Recensione: By the Light of the Northern Star
Nel corso degli anni, i Týr sono riusciti ad affermare l’unico paese scandinavo che mancava nel grande mosaico del pagan nordico e sono tuttora gli unici portatori del vessillo færøese, finora solo associato alla caccia alle balene e aggraziatamente confuso con la croce bianca delle più famose – ma altrettanto punteggiate di pecore – isole Shetland.
Famosi per il loro viking-pagan dalle venature prog e per la loro ossessione nel riproporre continuamente l’antico cavallo di battaglia Hail to the Hammer, i Týr fremevano evidentemente dalla voglia di presentarci il nuovo volto di una band fermamente incagliata, nell’opinione pubblica, nelle trame di Erik the Red, tanto da risultare a tratti stantia. Sull’onda di una visibilità sempre maggiore sia personale che del viking metal in generale, il quartetto færøese ha deciso di dare un’accettata ancor più netta al passato di quanto non abbia fatto con il precedente Land e di proporci un album assolutamente di maniera che getta nuova luce sulla loro produzione sempre più incalzante.
Si era già notata infatti una tendenza all’accorciamento dei brani e alla notevole semplificazione delle linee melodiche, ma a dire il vero poco lasciava presagire la struttura di questo By The Light of the Northern Star. Per molti potrebbe essere una buona notizia, giacché infatti sono sparite quasi completamente tutte le velleità prog tipiche del primo periodo Týr, in favore di composizioni più epiche e decifrabili, perfettamente in linea con il flusso finno-svedese-germanico del viking moderno.
Sono nati quindi dei Týr più diretti e fruibili, ma sempre fedeli ad alcune di quelle peculiarità che li hanno resi celebri come la tipica chitarra solista tutt’altro che pulita e l’altrettanto tipica voce greve del cantante Heri Joensen.
Semplificazione, però, in questo caso vuol dire tutt’altro che pauperizzazione. La ricchezza stilistica ha ceduto il passo a una dinamicità di fondo che ha generato, a mio giudizio, l’Ormurin Langi del 2009, una profonda e intrigante riproposta della celebre storia di “Tróndur í Gøtu“, figura portante della Saga delle Faroe e personalità di spicco del medioevo periferico scandinavo. Sia da Tróndur í Gøtu che dall’unico altro brano in lingua natìa, “Turið Torkilsdóttir“, si conferma il rinnovato gusto per le canzoni corali, marziali ed epiche, dal sapore a dir poco ancestrale.
I ritornelli catchy e le soluzioni melodiche semplici e fulminanti dei palesi “istigatori da concerto” come l’opener “Hold the Heathen Hammer High” e la title track dimostrano quanta voglia abbia la band di girare il mondo e di come abbiano voluto adescare le folle con un mix abbastanza equilibrato di easy-listening e di brani leggermente più impegnati che hanno da un lato ridotto la longevità a lunghissimo termine dell’album e dall’altro assicurato una gran quantità di sangue nuovo tra le fila dei loro fan, non più popolate da vecchi amanti dell’epic impegnato degli anni ’80.
Le vecchie volpi del Folk-Pagan-Viking tra l’altro non potranno non notare la perfetta aderenza tra la traccia “By the Light of the Northern Star” e “Om Kvelden” di Glittertind, il che mi lascia pensare a una sorgente popolare di fondo che mi sfugge e che non fa altro che rinforzare la mia diffidenza verso l’eccessivo sfruttamento delle melodie tradizionali a scopo di lucrare velocemente e senza particolare sforzo su canti che risvegliano emozioni già scritte nel DNA di decine di milioni di europei.
Sia quel che sia, questa quinta fatica færøese ci porta un album ben congegnato, dalla partenza estremamente catchy e dall’evoluzione graduale, fino a un arrivo più elaborato, lento e introspettivo. Manca la pesante atmosfera malinconica che impregnava i dischi d’avvio della band, sostituita da una vivacità più consona al folk-pagan del nuovo millennio. Non mancano parti ripetitive che potevano essere più snellite, come nel caso della superficiale “Northern Gate” e la dispersiva, quasi celtica “Ride“, mentre brilla per intensità l’assolo fulminante della seconda parte di “Hear the Heathen Call“, davvero da sentire.
In conclusione, più che un passo in avanti, i Týr hanno fatto un passo di lato per accontentare una parte di fan che era stata in minoranza dalle origini fino a Land. Chi ha continuato a supportarli in tutti questi anni, sopportando i loro passati arzigogoli a tratti difficili da digerire, si troverà con una piacevole sorpresa tra le mani. Chi invece amava i Týr meno concentrati e più profondi, potrebbe avere del filo da torcere rimanendo, alla fine dello spettacolo, con un saporaccio inconcludente sul palato.
Daniele “Fenrir” Balestrieri
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TRACKLIST:
1. Hold the Heathen Hammer High
2. Tróndur í Gøtu
3. Into The Storm
4. Northern Gate
5. Turið Torkilsdóttir
6. By The Sword In My Hand
7. Ride
8. Hear The Heathen Call
9. By The Light Of The Northern Star