Recensione: Call Me Inhuman: The Sun – The Fight – Part 5
Dedizione: ecco cosa contraddistingue gli Asylum Pyre, i quali dopo 12 anni proseguono il proprio percorso evolutivo e musicale relativo alla concept story, adesso giunta al quinto capitolo intitolato Call Me Inhuman: The Sun – The Fight – Part 5. Per l’appunto un’evoluzione che ne affina il sound e mette in risalto la maturità compositiva che riesce a fondere la melodiosa voce di Ombeline Oxy Duprat con una compatta sezione strumentale di forte matrice melodica.
La Ellie Promotion ci vede lungo e custodisce una realtà che si trova a proprio agio fuori dai canonici schemi, spesso stretti tra un’alternanza di parti di certo più prevedibili. E invece siamo favorevolmente stupiti, soprattutto perché si comincia con calma e con la dolce armonia di Virtual Guns, per un viaggio che descrive la vita da oggi al 2062, in cui fazioni e tribù di un mondo post-apocalittico arrivano a unirsi. Uno dei tratti distintivi degli Asylum Pyre è la capacità di offrire spazio e scena ad ogni singolo membro: lo si percepisce dai numerosi cambi ritmici, come dalla forte impronta infusa dai synth di Johann Cadot. Se proprio dovessimo appuntare una carenza in termini di sound è la poca profondità dei bassi, i quali tendono a sacrificarsi e garantire grande ariosità alle aperture più melodiche, sempre molto incisive e capaci di entrarti in testa anche ad un primo e fugace ascolto (Fighters / Sand Paths / Underneath Heartskin), anche quando il fattore melodico viene portato a confronto di parti vocali sporche (The True Crown / Joy).
Se quindi vi trovaste di fronte ad un nome a voi completamente nuovo, sappiate che per entrare in sintonia con gli Asylum Pyre in realtà occorre soltanto essere predisposti verso un power metal di chiara matrice melodica e che non si concentra sulla velocità, quanto sulla stessa melodia, a tratti sinfonica e mai fine a se stessa. Le tracce non eccellono per particolari virtuosismi e spesso peccano di un’identità non marcatamente definita, ma la realtà dei fatti è che Call Me Inhuman suona esattamente come dovrebbe, ovvero semplice, diretto e coinciso. Se poi aggiungete anche qualche excursus stilistico, il risultato è quello di una varietà compositiva che permette di mantenere elevata la concentrazione – e il coinvolgimento – senza il minimo accenno di ripetitività (Happy Deathday / A Teacher, A Scientist & A Diplomat), figuriamoci quando i nostri buttano fuori ritornelli cuciti appositamente per la splendida voce di Oxy (There, I Could Die oppure The Nowhere Dance su tutte), che in qualche occasione mi riporta alla mente Maria Brink degli In This Moment. Bello!