Recensione: Call of the Sirens
“Call of the Sirens” è il quarto disco dei Craving, che presenta la particolarità di essere cantato in quattro lingue: tedesco, inglese, russo e ucraino. Un concept-album basato sugli eventi attuali che stanno portando gli esseri umani verso la psicopatia. Un po’ come accadeva in mitologia con le sirene, che attiravano le persone con comportamenti seduttivi per poi ucciderle.
Il death del combo teutonico è ricco di influenze. Prima fra tutte il folk, da intendersi, però, lontano dal narrare leggende pagane e/o celtiche, ecc. Folk moderno, quindi, perlomeno nei testi che, obiettivamente, mostrano un quid di originalità in più rispetto alla norma. Si possono inoltre udire echi di epic metal e di black, che danno allo stile proposto una discreta dose di riconoscibilità.
Il sound è ineccepibile in tutte le sue sfaccettature: Ivan Chertov e i suoi compagni sono abili musicisti, sicuri dei propri mezzi, dalla lunga esperienza in materia. Circostanza che, a pelle, si percepisce con vigore, durante l’ascolto del platter.
Così come si percepisce che il melodic death metal alla fine si riveli ideale (sotto)genere per riempire i dati della carta d’identità della band proveniente dalla Bassa Sassonia. Le armonie, tuttavia, non seguono gli stilemi classici del genere, seguendo spesso e volentieri, stavolta sì, le arie del folk metal. Irrobustito da una sezione ritmica dirompente, sia per quanto le tonanti linee di basso ma, soprattutto, per il devastante drumming di Wanja Gröger, possente lungo tutto l’arco dei BPM… umani, con particolare riguardo ai devastanti assalti con la profusione di roventi blast-beats (‘Star By Star’).
Chertov è il mastermind, che si occupa delle trionfanti orchestrazioni, dello sviluppo dei numerosissimi cori da leggenda (‘Death March’), della chitarra e, ultima ma non ultima, della voce. L’intreccio costante del suo strumento con quello dell’altro axe-man, Jonas Papmeier, dà luogo a un riffing i cui confini si perdono a vista d’occhio, talmente sono tanti i prodotti della parte ritmica, quanto quelli della parte solista; questa impegnata costantemente ad abbellire l’impianto sonoro con luccicanti ghirigori e limpidi assoli (‘Maiden of the Sun (Дева Солнца II)’). Anche per la voce si può apprezzare un’interessante antitesi fra le ariose clean vocals dei tanti refrain e la brutalità del growling (‘Call of the Sirens’).
Una varietà di intenti che si sviluppa lungo tutto l’arco dell’LP, dando luogo, fra una botta di cornamusa e l’altra, a brani scoppiettanti, ricchi di particolari, a volte particolarmente azzeccati in quanto a orecchiabilità, come mostra ‘Blood ov Franconia’, trascinante hit il cui ritornello si rivela vincente in relazione alla forza con cui si stampa sulla parte interna della scatola cranica. La bordata, vero pugno in piena faccia, rappresentata da ‘Gods Don’t Negotiate’, trapassata da ficcanti melodie, si può prendere come esempio se si dovesse descrivere il full-length con una sola traccia, peraltro sfiorata da un modo di strutturare i cori alla maniera dei pirati. Si tratta solo di un segno particolare leggerissimo, tuttavia udibile agli orecchi a loro agio con band come i Running Wild.
Il meglio, almeno a parere di chi scrive, è dato quando gioia e spensieratezza lasciano spazio alla malinconia, leit motiv di ‘Prayer for the Rain’. Una malinconia che, lontana da schiamazzi, consente al trio di Oldenburg di scavare nei sentimenti e nelle emozioni più profonde per portarle a vivo, a nudo. Una canzone che, forse, chissà, indica la vera strada maestra che, in futuro, potrebbe essere percorsa con grande soddisfazione da parte di tutti.
“Call of the Sirens”, tirando le somme, è un’opera adatta a tutti, data la sua immediatezza e capacità di colpire l’attenzione a tutto tondo. Del resto i Craving sanno il fatto loro, sia in qualità di eccellenti esecutori, sia in qualità di abili songwriter.
Daniele “dani66” D’Adamo