Recensione: Call of the Wild
Per quanto riguarda l’universo del metallo pesante, il 2021 è di sicuro un anno difficile da dimenticare. Alcuni nomi tra i più altisonanti dell’intera scena hanno deciso di pubblicare il loro nuovo lavoro proprio nel 2021, basti pensare a Helloween, Iron Maiden e Dream Theater. Ma oltre ai mostri sacri, ci sono alcune band “nuove” (se paragonate alle formazioni citate poco sopra) che hanno deciso di pubblicare la propria nuova fatica in questo 2021. Stiamo parlando di quei gruppi che sono riusciti a imporsi negli ultimi anni, diventando ben presto dei punti di riferimento di un certo filone della musica a noi cara. Tra questi rientrano di sicuro i lupi tedeschi, i Powerwolf, che con “Call of the Wild” raggiungono il traguardo dell’ottavo full length. Addentriamoci quindi alla scoperta di uno dei dischi più attesi dell’anno.
Devo essere sincero: i Powerwolf mi hanno sempre entusiasmato più dal vivo, che su disco. La loro proposta pomposa, i ritornelli anthemici, l’immagine e la grande presenza scenica sono tutti elementi che garantiscono un successo assoluto in sede live. Su disco, invece, l’ascolto mi è sempre risultato un po’ ostico. Il songwriting dei Nostri tende a presentare un certa ripetitività di fondo e, senza l’adrenalina che si può provare sotto un palco, perde molta della sua magia. Il nuovo “Call of the Wild” non fa eccezione a questa regola. L’ottavo album dei Powerwolf può infatti essere definito come un classico lavoro della formazione tedesca. “Call of the Wild” si presenta con una produzione esplosiva e con canzoni capaci di entrare subito in testa, grazie a dei ritornelli coinvolgenti e di immediata assimilazione. Le composizioni ruotano attorno alla voce possente, maschia, di Attila Dorn che, anche in questa occasione, regala una prestazione impeccabile, sia dal punto di vista tecnico, che per l’espressività e la teatralità. Le linee vocali di Dorn vengono poi accompagnate da un tappeto sonoro enfatico e melodico, in cui spiccano le tastiere di Falk Maria Schlegel e la batteria incalzante di Roel van Helden. Le chitarre dei due lupi grigi, Charles e Matthew Greywolf, accompagnano il tutto, risultando un po’ in secondo piano in fase ritmica, salendo poi in cattedra negli assoli. È con questa proposta che i Powerwolf sono riusciti a conquistare le zone alte dell’olimpo del metallo pesante, aumentando di volta in volta i propri seguaci, orde di lupi famelici, assetati del sound di Dorn e compagni. Una proposta che si è rivelata senza ombra di dubbio vincente, diventando ben presto il marchio di fabbrica dei Nostri e il nuovo “Call of the Wild” non poteva che seguirne lo schema. Ma come sottolineavamo qualche riga sopra, nonostante il successo raggiunto, c’è sempre il classico “però” a risuonare a fine ascolto di un disco dei Powerwolf, un “però” che può essere pronunciato anche dopo i quaranta minuti di musica offerti da “Call of the Wild”. Già, perché se da un lato il nuovo lavoro rispetta lo standard qualitativo che i Powerwolf hanno fin qui sfoggiato nel corso della loro carriera, dall’altro è innegabile che diventi presto di facile lettura. Le canzoni sono studiate per sviluppare la massima potenzialità in sede live – basta ascoltare la ballad ‘Alive or Undead’, la pomposa ‘Varcolac’ o l’adrenalinica ‘Dancing with the Dead’ per rendersene conto – ma su disco, dopo qualche ascolto, diventano prevedibili e perdono per strada parte del loro fascino iniziale. Un aspetto di cui i Powerwolf sono sicuramente a conoscenza ma a cui sembrano fare spallucce: i risultati raggiunti, d’altronde, danno loro ragione.
Come detto in sede di analisi, quindi, “Call of the Wild” può essere definito come un classico disco dei Powerwolf, un lavoro che saprà soddisfare i fan del combo tedesco e, allo stesso tempo, sollevare le solite critiche dai detrattori della band. Come ripetuto più volte, però, la vera dimensione di Dorn e compagni è quella live, dove i Nostri possono dare sfogo a tutto il loro immaginario, realizzando uno show teatrale, carico di adrenalina, con i fan pronti a cantare ogni singola canzone, dall’inizio alla fine. Cercare di “valutare” un disco dei Powerwolf è quindi un’opera molto difficile: è come se volessimo provare a comprendere un libro possedendone una sola metà. In questo momento ci troviamo tra le mani la componente musicale, ma il concept ideato dai lupi tedeschi si completa con l’elemento visivo, con l’impatto visivo, su un palco, con lo show live. Una riflessione che spiega il perché di quel numerino in alto a destra. Quando il lavoro sarà completo, quando potremo ascoltare queste canzoni in sede live, beh, quel numerino sarà sicuramente diverso.
Marco Donè