Recensione: Camera Oscura

Di Eric Nicodemo - 16 Maggio 2016 - 8:00
Camera Oscura
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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72

E’ rassicurante poter constatare che la scena nostrana hard’n’heavy non si dia per vinta e persista vitale e tenace come poche. Uno spirito indomito incarnato dai Camera Oscura, combo sardo che porta avanti il tricolore cantando rigorosamente (e orgogliosamente) in lingua italiana. Per l’occasione, il platter conduce l’audience in un mondo fantastico, allegoria della vita reale, popolato da killer spietati, vite bruciate e donne di malaffare.

Quale, dunque, musica migliore se non un turbolento ed atmosferico hard’n’heavy per raccontare simili vicende? A maggior ragione, se intriso di metallo classico, hard delle origini e congiunture prog…

 

Metallo Tricolore

 

Il biglietto da visita di “Camera Oscura” è l’assolo incalzante di “Moulin Rouge”. Il ritmo si fa sostenuto con la voce stralunata e stridula di Stefano Cherchi, perfettamente calato nel clima noir. Lo slancio del ritornello rimane orecchiabile con un ottimo impatto, senza essere eccessivamente frenato dai suoni tipicamente ruvidi dell’autoprodotto. Merito anche della valida sezione alle sei corde, qui capace di non fossilizzarsi in rudimentali e scontati riff: Stefano Etzi e Luca Fanni ci mettono a disposizione una buona livrea di scale e tonalità, ampliando lo spettro delle influenze.

Con il successivo brano “Le Tre Vie” si preferisce un approccio iniziale meno burrascoso, dove la voce indulge languidamente e l’arpeggio cala l’ascoltatore in un set evanescente. Dall’intro scaturisce l’assalto speed metal guidato dalle chitarre gemelle. Il duo impernia la corsa su un pattern tumultuoso ma melodico, in pieno stile Bay Area. La formula energia-melodia è già stata codificata ma è sempre un piacere avere un brano che mantenga questo sodalizio così vivo e pulsante come “Le Tre Vie”.

L’eterna sfida tra bene e male si perpetua con il refrain oscuro e frenetico de “Il Gioco delle Carte”, di chiara derivazione sabbathiana. L’esecuzione concitata, ricca di groove e cambi di tempo, rende trascinante e senza tempi morti l’esperienza. Infatti, il semplice innesto di riff più torvi e muscolosi, sprazzi nervosi e furibondi assalti, passaggi claustrofobici, conferisce quel tocco convulso che giova nel ricreare l’atmosfera arrembante e mefistofelica descritta nei testi.

Le parti vocali danno il meglio nei momenti di raccoglimento e riflessione: in “Nato Guerriero”, dopo languidi arpeggi e il crescendo dei vibrati, l’interpretazione suadente di Cherchi comunica emotività e malinconia con un impatto anche superiore alle sezioni più indiavolate. Degno di nota ancora il solismo liquido della sei corde, che muta da tarchiati riff ad una splendida progressione cesellata da scale neoclassiche. Considerando l’atmosfera riuscita della track, dispiace un po’ la brusca interruzione della performance, denotando la necessità di una conclusione più graduale, sfumata, per alleviare una certa sensazione di incompletezza.

Lo stretto rapporto tra testi e musica si consolida ne “La Danza”, dove l’immagine di un ballo ossessivo è materializzata dalla batteria insistita e dal guitarplay concentrico. La melodia del ritornello scorre agile sul brioso (e azzeccato) tappeto di tasti, sempre alla ricerca di quel tocco personale. La chitarra flirta sempre con diversi stili, senza incappare in un evidente collage disorganico.

“Sex Poupée” è scosso da fremiti chitarristici, voci d’epoca e lievi tasti sullo sfondo. I limiti della produzione evidenziano una tutt’altro che perfetta apertura progressiva delle chitarre, carente di un buon arrangiamento e di una buon armonizzazione tra le due chitarre (le linee divergono creando una dissonanza). Tutto ciò, la melodia a pezzi (chitarre e voce non si amalgamano bene) ed un francese indigesto e confuso, fanno colare a picco “Sex Poupée”, il filler “sperimentale” di “Camera Oscura”.

L’attacco di “Le Dame” si snoda in un martellante vortice sorretto da trame NWOBHM, virtuosismi prog e bordate in pieno stile speed/thrash. L’intreccio sonoro si arricchisce di assoli dalle tonalità oniriche e dal gusto orientaleggiante, come già fatto in precedenza. Nel complesso un bel brano, trainante e infuocato, che, ad esser pignoli, forse manca di un ritornello nuovo, veramente risolutivo o una soluzione strumentale decisiva, che si distingua e spicchi da quello già proposto.

Avvicinandoci alla fine, ci accoglie la sanguigna title track a base di cavalcate e assoli maideniani. Fa la parte da leone l’intenso bridge a tre quarti del corpo della canzone, dove si consolida il connubio tra metal americano anni Ottanta (Megadeth, Overkill) e il gusto classico. Il testo è in seconda persona, un vortice di parole che vuole ricreare una storia concitata tra alcool, donne e malandrini. Scelta opinabile, che potrebbe disorientare e non piacere al pubblico attento ai testi più ricercati (“io ce l’ho con te”… non certo un grande sforzo di metrica e d’immaginazione di scrittura!).

La pioggia di un temporale e rumori sinistri preparano la conclusiva “Inferno”, dove risuona il fragoroso rullare della batteria e la chitarra ritorna a tessere trame oniriche, dai suoni penetranti ed acuti. Da questo intro prorompe un riff ostinato, che riecheggia la scuola hard rock settantiana più ombrosa (Black Widow, Nazareth, i Golden Earring dei primordi). La voce si fa a scatti, elencando i peccati capitali e la sei corde si trascina pachidermica. Il procedere marziale e thrashggiante è spezzato da pause scandite dalle secche percosse di Massimiliano Perra. Pregevole l’inserto arpeggiato al centro del brano, grazie al quale l’atmosfera si dilata e la chitarra costruisce un discorso musicale di maggior respiro, incastrando un range di influenze inatteso, ripescato nuovamente dalla scuola neoclassica e, in genere, dal prog metal (Dream Theater).

 

Uscendo dalla Camera Oscura

 

“Camera Oscura” rappresenta un buon inizio: alcuni arrangiamenti sono ancora da perfezionare e non tutte le scelte vocali e canore sono riuscite (nello specifico “Sex Poupée”). Forse, si sente a tratti la mancanza di ritornelli veramente memorabili e memorizzabili, che rendano ogni pezzo emblematico. Un aspetto che viene mitigato da un’esecuzione dinamica e varia, e soprattutto da un’interpretazione appassionata: i rimandi al passato, infatti, sono presenti ma ben inseriti e non slegati dal contesto testuale e compositivo.

Il tono stridulo del frontman può dividere il pubblico ma rimane una scelta voluta per caratterizzare il registro quanto il cantato in italiano (non si discute le parti vocali in pulito più lente e tristi, veramente affascinanti…). Potrebbe, comunque, riservare delle sorprese un’eventuale trasposizione anglofona…

Per quanto riguarda le liriche, il platter alterna passaggi suggestivi (“…dame bianche seduttrici di talento e cacciatrici di fragilità…”) a versi meno ispirati, più adatti al cantautorato (“…la prego signorina solamente whisky…”), considerate anche la ricchezza e la varietà della nostra lingua.

In definitiva, “Camera Oscura” fornisce un’interessante e valida rilettura del vecchio heavy all’interno del suolo italico… e non solo.

Eric Nicodemo

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