Recensione: Caminos De Fuego
Ci siamo. Quest’album degli spagnoli Tierra Santa, autori di ottimi lavori e brani ormai considerati classici in ambito heavy, era atteso da anni. Un po’ per la delusione del loro ultimo lavoro, un po’ per la curiosità riguardo la direzione musicale che avrebbero intrapreso Angel e soci in seguito alla decisione, pubblicata sul loro sito, di prendersi una pausa di un paio di anni. Un commento va innanzi tutto alla splendida copertina: una metropoli divorata dalle fiamme fa da sfondo ad uno scenario post-apocalittico, catapultandoci subito nel vivo dell’ascolto.
Dopo una buona intro, è compito di “Caminos de fuego” aprire le danze. Il brano è solo il primo del disco, è vero, ma racchiude in sè alla perfezione tutti i pregi e i limiti dei “nuovi” Tierra Santa: gradevole, tecnicamente ineccepibile, egregiamente arrangiato, ma con un cantato decisamente prevedibile e contenuto. Ora, senza voler ritornare con la memoria a “Medieval” o “Legendario” (ci mancherebbe), dove sono finite le interpretazioni appassionate di Angel che hanno contribuito tante volte, in passato, ad alzare il livello medio delle composizioni dei Nostri?
La sensazione che questo cambio di stile sia dettato più da esigenze discografiche che non da un vero e proprio mutamento artistico del gruppo spagnolo è forte e si impossessa dell’ascoltatore fin dalle prime note. Sulla falsariga del precedente, “La leyenda del Holandés Errante” è un pezzo notevole, forse il migliore dell’album, caratterizzato da una melodia orecchiabile e da un magnifico assolo di chitarra, in cui però un’interpretazione vocale più ruvida e graffiante avrebbe sicuramente fatto gridare al capolavoro. Si ha la sensazione che manchi quel filo diretto con l’ascoltatore che aveva reso i Tierra Santa un gruppo metal apprezzato non solo in ambito heavy.
Il testo, per la cronaca, narra le gesta dell’Olandese Volante, il mitico vascello fantasma destinato a solcare i mari in eterno, senza una meta precisa. “Reina de Egipto”, dedicata alla vita di Cleopatra, ha un testo impegnato e decisamente brillante. Inizia lenta, introspettiva, per poi diventare un mid-tempo di pregevole fattura; la parte ritmica è ispirata e riesce a ricreare l’ambientazione storica e a portarci con la mente nell’antico Egitto. La successiva “Arde Babilonia” (che tratta la distruzione, per mano divina, della città di Babilonia) è veloce ed energica, porta una ventata di freschezza rispetto a quanto sentito finora e tiene ancora in bilico le sorti di un album che, al momento, non delude né soddisfa appieno. Niente di originale, per carità, ma almeno ci ritornano in mente le sonorità classiche degli iberici.
Purtroppo, però, da qui in avanti l’album è opaco e melenso, più noioso che brutto (il che, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, è decisamente peggio). Così “Libre” è un lento senza mordente, decisamente sottotono, “Ejércitos de las tinieblas” è un brano veloce che non lascia il segno, “Para siempre” è un altro lento (perlomeno discutibile la scelta di inserire un altro brano lento nel disco, dopo aver già rallentato e velocizzato l’ascolto più volte) evitabile e “La voz del destino”, di chiara matrice hard rock, sembra solo l’abbozzo di un brano più complesso e articolato.
“El fin de los dias” è forse il punto più basso dell’opera: il testo ha chiari riferimenti all’Apocalisse e il tappeto sonoro creato per l’occasione è evocativo, questo sì, ma il brano è poco incisivo e di una lentezza disarmante. Se a questo ci aggiungiamo il fatto che già a metà ascolto si ha la sensazione che la si stia tirando troppo per le lunghe, direi che siamo decisamente in presenza di un pezzo da consegnare agli archivi. Ma attenzione…a questo punto tocca a “Eterna y sagrada” spiazzare ancora una volta l’ascoltatore. Già, perché siamo in presenza di un brano in vecchio stile Tierra Santa, veloce, diretto, dal ritornello mozzafiato da cantare a squarciagola, che raccontandoci la storia di Gerusalemme riesce nell’intento di coinvolgerci, scaricandoci addosso tutta la rabbia degli strumenti.
Tirando le somme, valutare “Caminos de fuego” è compito arduo. In linea di massima, il gruppo spagnolo rialza, anche se di poco, la testa, dopo la scialba prova fornita con lo scorso album, quel “Mejor morir en pie” che aveva ottenuto ben pochi consensi di critica e pubblico. Qualcosa di buono da salvare c’è, eccome: ci sono alcuni brani che rimandano ai dischi del passato, come a voler dimostrare che i Tierra Santa sono ancora lì, nascosti da qualche parte, in attesa di tornare fuori alla grande da un momento all’altro. Certo, anche i giri a vuoto non sono da poco, e ciò che colpisce di più è il cantato di Angel, che sembra quasi volersi “contenere”, magari per rivolgersi ad un altro tipo di pubblico. In attesa di capire questo mistero, diamo fiducia ai Tierra Santa.
Rimandati.
Mauro Crivelli
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Tracklist:
1. Caminos De Fuego
2. La Leyenda Del Holandés Errante
3. Reina De Egipto
4. Arde Babilonia
5. Libre
6. Ejércitos De Las Tinieblas
7. Para Siempre
8. La Voz Del Destino
9. El Fin De Los Días
10. Eterna Y Sagrada
Line-up:
Ángel San Juan – vocals , guitar
Arturo Morras – guitar
Roberto Gonzalo – bass
David Karrika -drums
Mikel G. Otamendi – keyboards