Recensione: Campo Di Marte
È quasi incredibile la produzione musicale italiana degli anni settanta; incredibile perché ancora oggi esplorare i suoi angoli più nascosti dà ottimi risultati. In uno di questi angoli nascosti si trovano i Campo Di Marte, geniale gruppo degli anni settanta dalla vita breve, travagliata nelle sue due formazioni, ma intensa.
I Campo Di Marte nascono tra la fine del 1971 e l’inizio del 1972 dall’incontro del chitarrista e compositore Enrico Rosa con il batterista e flautista Mauro Sarti, uniti dall’idea e dalla voglia di suonare insieme. I due, dopo un periodo passato assieme militando ne La Verde Stagione, dove lo stesso Rosa era entrato come nuovo chitarrista, decidono di formare un nuovo gruppo e, una volta assoldato il bassista di origini americane Paul Richard Ursillo, il polistrumentista Carlo Balducci diplomato in corno francese e il batterista Carlo Felice Marcovecchio, già conosciuto per la sua esperienza con i Califfi, danno vita a un quintetto pronto per suonare.
Il gruppo inizia la sua attività live in diversi locali di Firenze, dove colleziona una serie di concerti cambiando più di una volta nome, che verrà finalmente deciso durante le registrazioni del primo e ultimo album del gruppo: Campo di Marte, come l’omonima zona di Firenze. L’esordio discografico del gruppo avvenne invece nel 1973 con un album omonimo pubblicato dalla United Artists, creato e concepito dalla mente di un solo uomo, Enrico Rosa, che ne scrisse musiche, testi e arrangiamenti.
Già nel nome del gruppo, Campo di Marte, come il mitico dio della guerra Marte, vi sono preziosi indizi sugli argomenti trattati dai loro testi scarni: la guerra con la sua violenza, le sue follie e la sua stupidità. Questo concetto è reso chiaro fin dall’ emblematica artwork, raffigurante degli antichi soldati mercenari Turchi ritratti nell’atto di flagellarsi per mostrare il loro coraggio, nell’intento di ottenere un salario più alto.
L’album è diviso in sette canzoni, come il numero dei movimenti presenti in una composizione sinfonica e sono semplicemente intitolati con il numero del tempo che rappresentano (Primo Tempo, Secondo Tempo ecc). Sebbene questo disco sia prevalentemente strumentale e presenti solamente tre brani cantati, l’impatto dei testi resta comunque forte grazie alla loro semplicità e alla loro immediatezza, che invitano l’ascoltatore a riflettere tramite semplici immagini, ma di grande effetto.
Ricordo quel prato
Coperto di fiori
Correvo felice
Alla luce del sole chissà
Rivedo quel luogo
Migliaia di croci
Ricoprono il prato
Oscurano il sole chissà
Uomini ignari
Prendete le ossa
Il solo raccolto
Di tante pazze semine perché.
Con un aggressivo e trascinante riff di chitarra viene inaugurato il Primo Tempo dell’album, con cui ha inizio la parte più immediata e aggressiva del disco, caratterizzata da ritmiche gradevoli e trascinanti. La lunga introduzione porta in scena la voce quasi flebile di Enrico Rosa, che canta su un leggero tappeto di tastiera, intervallato da rabbiosi interventi di chitarra, di basso e da assoli che mordono le partiture, mentre nella seconda parte della canzone il delicato intervento degli strumenti a fiato rilassa l’atmosfera, per poi ritornare verso lo stato d’animo iniziale.
Il Secondo Tempo è un brano strumentale particolarmente raffinato e delicato, dove le atmosfere sono distese e soffuse grazie agli arpeggi di chitarra classica, di flauti e del corno di Alfredo Barducci; la fine del secondo brano porta il nervoso e quasi isterico lavoro di chitarre del brano successivo, Terzo Tempo, che hanno un effetto quasi disturbante, e stridono con l’attacco di pianoforte a cui lasciano la scena. La voce che canta sulle note del pianoforte ha un altro timbro, questa volta più deciso e profondo: è quella di Richard Ursillo, molto piacevole in questo ruolo, che si districa nel migliore dei modi tra cambi di tempo, assoli grintosi di chitarre accompagnate da evidenti linee di basso. I continui cambi di scena portano a uno scambio di partiture quasi sognanti dove protagonista è il pianoforte con fasi altrettanto energiche e aggressive, imprevedibili nella loro successione e nel loro divagare e destreggiarsi in assoli.
L’originale lato A del vinile si chiude con la strumentale Quarto Tempo, uno scambio di virtuosismi tra organo, chitarra, mellotron e pianoforte, impegnati in un continuo e rapidissimo intreccio e dialogo.
Nelle intenzioni originali dei Campo Di Marte c’era quella di inserire i brani in un ordine diverso da quello che appare ora, iniziando l’ascolto del disco con la canzone conosciuta ora come Quinto Tempo, invertendo di fatto i lati del vinile e facendo ascoltare per primo il lato più melodico del disco, incentrato più sulla chitarra classica. Il quintetto era infatti solito proporre in sede live le canzoni usando questo ordine e i titoli originari per i brani erano Prologo parte I e II, Riflessione ed Epilogo. Fu una scelta dovuta al maggiore impatto del lato più aggressivo dell’album a scegliere di invertire i due lati del vinile e di esordire con il brano che ora conosciamo come Primo Tempo.
Quinto Tempo è uno strumentale che ha la sua forza nelle chitarre classiche, nei flauti e nei vocalizzi, mentre le tastiere emergono nella seconda parte del brano e preparano la strada a Sesto Tempo, una canzone dall’introduzione energica, in cui la melodia è affidata alle tastiere ed è divisa nella parte centrale da un intermezzo dedicato agli strumenti a fiato come flauto e corno francese. Il tema principale viene poi ripreso, sciolto in un’atmosfera che si trasforma completamente e si distende con l’entrata in scena della voce, solo per riprendere con ottime divagazioni strumentali il tema principale.
La conclusione dell’album è affidata a Settimo Tempo, che termina il lato nello stesso modo con cui è incominciato: con gli arpeggi di chitarra classica e di flauti che fanno da preludio all’invasione della sezione ritmica e delle chitarre elettriche, in una struttura molto cadenzata che si distende in parti più ampie e rilassate e si trasforma in altre particolarmente destrutturate e sincopate, quasi psichedeliche nella loro ripetuta ossessività.
Dopo la composizione e l’uscita di questo album, avvenuta nel gennaio 1973, Enrico Rosa decise di sciogliere il gruppo e rinnovarne la formazione, proprio nel momento in cui la band avrebbe dovuto suonare dal vivo. Questa nuova formazione del Campo di Marte scelta dallo stesso Rosa era orientata più a uno stile Jazz-rock ed entrò in sala di registrazione per incidere un secondo disco, rimasto inedito in quanto giudicato dalla casa discografica troppo poco commerciale per l’epoca.
La stampa su LP di Campo di Marte risale al 1973 sotto l’etichetta United Artists (UAS 29497), mentre esiste una ristampa del 2007 ad opera della AMS/Vinyl Magic (AMS 101 LP); per quanto riguarda il CD, esistono due stampe: quella del 1994 della Mellow Records e quella del 2006 della AMS/Vinyl Magic.
Silvia “VentoGrigio” Graziola
Formazione:
Enrico Rosa (chitarra, voce, mellotron)
Alfredo Barducci (fiati, piano, organo, voce)
Paul Richard (Ursillo) (basso, voce)
Mauro Sarti (batteria, percussioni, flauto, voce)
Carlo Felice Marcovecchio (batteria, percussioni, voce)
Tracklist
1- Primo Tempo
2- Secondo Tempo
3- Terzo Tempo
4- Quarto Tempo
5- Quinto Tempo
6- Sesto Tempo
7- Settimo Tempo