Recensione: Cannibal
Cinque dischi in quattro anni!
Dal North Carolina gli americani Wretched si ripresentano a due anni di distanza da “Son Of Perdition”, disco che ha lanciato la band anche oltreoceano, grazie all’ottima spinta della label Victory Records, e soprattutto al loro stile musicale che si permea su una matrice death/thrash metal, innestata a quel deathcore, da sempre caratteristica della band. Ma non solo massacro, poiché la band riesce ad aprirsi spesso e volentieri a incursioni prog e melodiche.
Le sezioni dei brani si susseguono in maniera fluida e allo stesso tempo convincente, frutto di un’ottima amalgama tra i musicisti e un discreto lavoro in fase di composizione. L’arma in più del loro già pericoloso arsenale si chiama Adam Cody, voce aggressiva che permea in maniera essenziale ed efficace i brani.
Brani che hanno tutti una personale peculiarità e tra i quali non si corre il rischio di incappare in evidenti risondanze, mentre alcuni passaggi risultano già sentiti, come il break-down iniziale della title-track, che si destreggia tra i tanti soli di chitarra, arpeggi e l’assenza della voce. Ma sono piccole gocce nel mare che caratterizza “Cannibal”.
La breve falsa/intro di “Gold Above Me” fa da apripista a quella che è la vera e propria presentazione della band, l’opener “Morsel”, che, come da tradizione, è il biglietto da visita per questo nuovo lavoro, mettendo in risalto gli elementi che verranno sviluppati nel corso dell’intero disco, con la voce superlativa di Cody che si basa su un piglio di stampo deathcore, ma che riesce benissimo a dimenarsi in un ampio range, per assecondare lo scorrimento della musica. Terzinati, sezioni contrastanti e rallentamenti sono cose già sentite e risentite, ma le doti tecniche della band danno gusto ad avvicinarsi per l’ennesima volta.
L’intro melodica di “Wetiko” è uno slancio per le scorribande tra death e thrash metal che la caratterizzano, con la sezione ritmica composta da Grevey (basso) e Wieczorek (batteria), che gioca un ruolo chiave nel sound devastante e variopinto della band.
I riff sono creati ‘in serie’ dall’accoppiata Funderburk/Moore, tutti di buonissima caratura, risaltandone la qualità: da quelli thrasheggianti di “Calloused” e “Cranial Infestation” fino a quelli più tecnici di “Salt Lick” e a quelli melodici di “To The Flies”. Ottimo il lavoro nelle sezioni acustiche che fanno da contorno a buona parte dei brani, con arpeggi intriganti che vanno a spezzare la macchina spaccaossa innestata dai cinque di Charlotte. “L’appel Du Vide“ ne è un breve esempio, piccola gemma nel fiume di note, riff e ripartenze devastanti che i cinque riescono ancora una volta a proporci.
Anche il brano di chiusura “Engulfed In Lethargy” si snoda tra un arpeggio iniziale e finale, al cui interno c’è un campo di battaglia pronto per sterminare gli ultimi rimasti, con i suoi riff infernali e i cambi di tempo repentini, che riescono a trasportarci da un lato all’altro della loro gamma sonora.
Insomma, una band che sa il fatto suo, compone egregiamente, suona in maniera eccelsa, e riesce a sfornare delle più che accettabili produzioni, che, considerata la grande mole di live fatta, è sintomo di un’ottima sinergia e sacrificio al servizio della musica.
Vittorio “versus” Sabelli
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